di Giuseppe Bommarito*
Due vite spezzate dalla cocaina, due famiglie irrimediabilmente distrutte dalla droga che, come sempre, in breve tempo trasforma chi ne fa uso in vittima o in artefice del Male, a volte sia in vittima che in artefice del Male. Con queste parole è possibile riassumere l’incredibile tragedia verificatasi qualche giorno addietro lungo la strada chiaravallese, nei pressi di Osimo (leggi l’articolo). Il veterinario maceratese Olindo Pinciaroli, prima che la morte gli piombasse addosso all’improvviso con la spietatezza di ben quindici coltellate e lo sfregio ulteriore di un successivo investimento con il furgone quando era scivolato a terra e probabilmente già spirato, era, per unanime apprezzamento, una persona buona, innamorata della sua famiglia, della sua piccola bambina e del suo lavoro.
I cavalli erano la sua passione, per la quale aveva da sempre investito tempo, attività lavorativa, risparmi. E non certo a caso la sua vita è finita proprio mentre stava recandosi con il suo furgone trasformato in ambulanza veterinaria in un maneggio in Osimo, di prossima apertura, nella cui gestione egli avrebbe voluto coinvolgere anche colui che ormai, per alcune testimonianze e una serie di indizi oggettivi, precisi e concordanti (gli esiti dell’autopsia, le impronte sull’arma del delitto, la risibile versione iniziale dei fatti, gli sms mandati ad alcuni amici nelle prime ore di quella tragica domenica), sembra essere stato il suo assassino.
Nei giorni scorsi, in un’atmosfera di dolore e di attonito sconcerto per l’inaccettabilità di una fine così assurda, si è svolto a Montelupone, dopo l’autopsia di rito, il funerale di Olindo (leggi l’articolo). Dodici cavalieri ad aprire il commosso corteo funebre e subito dietro una quadriga con il feretro dello sfortunato veterinario, trainata in un silenzio irreale verso il cimitero da due coppie di cavalli dal mantello baio e bianco, fieri, composti e maestosi nel loro lento incedere verso il luogo della sepoltura di Olindo Pinciaroli, ormai irreversibilmente transitato nel mondo dei più, ucciso per interposta persona dalla cocaina. Per il giovane ascolano Valerio Andreucci, istruttore e a sua volta grande appassionato di cavalli, trattato come un figlio da Olindo Pinciaroli, si erano invece già aperte le grigie inferriate del carcere di Montacuto, a poche ore dall’omicidio e dalla sua successiva inverosimile sceneggiata: la rapina, gli zingari, la fuga nei campi, le telefonate dense di paura alla madre ed al socio del veterinario ucciso. L’Andreucci si era imbottito durante la notte, per sua stessa ammissione, di cocaina.
E proprio la cocaina, sostanza stupefacente dall’azione potente e a volte devastante, ha presumibilmente finito per rovinarlo, determinandolo nelle prime ore della mattinata successiva a porre in essere un atto criminale completamente privo di senso, addirittura trionfalmente e scioccamente preannunziato in qualche modo tramite selfie e sms ad alcuni amici (da qui l’ipotesi dell’omicidio premeditato secondo gli inquirenti e, al contrario, la richiesta di una perizia psichiatrica da parte della difesa per il tono delirante dei messaggi in questione). Un omicidio insensato caratterizzato da una violenza spropositata e del tutto incoerente rispetto a qualunque finalità illecita egli si fosse in quel momento proposto. Ora bisognerà vedere se si procederà o no alla visita psichiatrica richiesta dal difensore dell’Andreucci. Di certo può dirsi che, davanti alla giustizia, l’intossicazione da sostanze stupefacenti di per sé non esclude e nemmeno diminuisce l’imputabilità, a meno che, per la persistenza e la continuità nel tempo dell’uso, non abbia determinato una ormai definitiva modificazione dell’equilibrio biochimico del soggetto, cioè una permanente alterazione dei processi volitivi ed intellettivi e quindi sia idonea ad essere qualificata come una vera e propria malattia mentale.
La Corte d’Assise in prima battuta, fatta salva l’ipotesi di un processo a rito abbreviato dinanzi al Giudice per l’Udienza Preliminare, ed i successivi gradi di giudizio decideranno comunque l’esito definitivo di questa sconvolgente vicenda, che con ogni probabilità, per quanto allo stato è possibile prevedere, comporterà una lunga detenzione per l’autore del delitto ed una sofferenza senza fine anche per i suoi familiari, angosciati, piegati dal dolore e tuttora increduli rispetto a quanto avvenuto, essi pure vittime di questo inaccettabile fatto criminale. Di certo sin d’ora può dirsi che la cocaina ha svolto in questa triste vicenda un ruolo determinante. E’ necessario infatti sapere che la cocaina inalata o fumata, frequentemente abbinata all’abuso di alcol, scatena nell’assuntore emozioni primitive, brutali e a volte ingestibili, nonchè irrazionali impulsi aggressivi, tant’è che il sempre maggiore incremento del suo uso sta comportando, come ormai risulta con evidenza dalle cronache giornalistiche, un aumento costante della violenza domestica (di frequente inizialmente occultata dalle stesse vittime) e di quella messa in atto nelle vicende di criminalità comune, spesso e volentieri eccessiva, se non del tutto inutile, rispetto allo scopo delinquenziale perseguito, sino a giungere in qualche caso a comportamenti stupidamente e gratuitamente sadici.
Tanto per fare un esempio di un’altra enorme tragedia imputabile alla cocaina verificatasi dalle nostre parti, basta ricordare il duplice omicidio di due anziani coniugi avvenuto nelle campagne di Montelupone pochissimi anni fa per una rapina di qualche decina di euro. Anche in quel caso l’assassino, poi condannato dalla Corte di Assise di Macerata all’ergastolo, confermato dalla Cassazione, dopo aver sniffato cocaina aveva ucciso senza pietà e senza senso sotto l’impulso della droga, all’esito di una notte caratterizzata da un’irrefrenabile escalation di violenze. E’ pericolosissima la cocaina, sostanza che per un certo periodo, quando ancora si pensa di poter gestire la situazione, consente una doppia vita e un illusorio controllo, ma ben presto determina un palese allentamento dei freni inibitori, un’incontrollabile sensazione di onnipotenza e di eccitamento psichico, una forte instabilità emotiva. Con notevole frequenza, in queste condizioni di stato confusionale e di fantasie deliranti, si arriva a nutrire intense idee di gelosia affettiva o lavorativa, palpabile irritabilità e irascibilità anche per un nonnulla, la convinzione di essere vittima di complotti e macchinazioni. Da qui alla materializzazione di scoppi di violenza inauditi e del tutto ingiustificati il passo è breve, anche perché manca nell’assuntore la capacità di valutare adeguatamente le situazioni a rischio e le conseguenze delle proprie azioni. Insomma, il delitto di Osimo è senza ombra di dubbio un altro caso che dimostra in maniera evidente come la droga si stia insinuando sempre di più in tutti gli strati della nostra società marchigiana (l’isola felice della criminalità organizzata, che proprio dalla droga ricava immensi profitti illeciti), come un virus che silenziosamente afferra le persone, soprattutto i giovani ed anche i ragazzini appena usciti dalla scuola elementare, e fa di tutto per stravolgere il loro corpo e la loro anima.
Tutto ciò mentre la repressione dei trafficanti e degli spacciatori è resa sempre più difficile da compiacenti norme di legge e la prevenzione è ormai una barzelletta, come a Macerata dove l’attuale Prefettessa, sempre in prima fila con il caschetto in testa a fianco delle autorità che vengono a fare passerella nei paesi del terremoto, ha da tempo (e ben prima delle scosse dell’agosto 2016) irrimediabilmente affondato il comitato “Uniti contro la droga”, creato con tanta fatica negli anni passati, proprio per ampliare e razionalizzare l’attività di prevenzione nelle scuole, dal Dipartimento dipendenze patologiche, dalla Procura della Repubblica, dalle comunità terapeutiche, dalle associazioni di volontariato, dai comuni più importanti della provincia, dai rappresentanti delle forze dell’ordine e del mondo dell’istruzione. Una vergogna, a fronte della quale i deputati ed i senatori eletti nel territorio provinciale e marchigiano, per non essere complici di tanta noncuranza ai danni dei più giovani, dovrebbero sentire il dovere di rivolgere senza esitazioni una specifica interrogazione al Ministro dell’Interno: cercasi volontario in tal senso.
*Giuseppe Bommarito, Presidente associazione “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”
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La cocaina dovrebbe essere un’aggravante e non un’attenuante, come sembra voler suggerire l’articolo e la difesa. Su questo ragazzo hanno fallito sia i genitori sia le istituzioni, va rinchiuso per tutta la vita in galera, c’è poco altro da dire….