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Minaccia di gettarsi nel vuoto,
carabiniera osimana la salva:
«Non vado via, sono qui per aiutarti»

INTERVISTA a Martina Pigliapoco, esponente dell'Arma che sul ponte tibetano a Perarolo, nel Bellunese, dopo quasi quattro ore di trattativa, ha fatto sì che la donna tornasse dai suoi tre figli e da tutta la famiglia. «Me la porterò a vita nei miei ricordi e la sua immagine ce l’avrò sempre davanti. L'abbraccio con lei mi ha portato un'emozione indescrivibile»

Martina Pigliapoco

 

di Alberto Bignami

Osimana, 25 anni, Martina Pigliapoco è la carabiniera che ha salvato una madre di tre figli decisa ad uccidersi gettandosi da un ponte tibetano a Perarolo, in provincia di Belluno.  In servizio a San Vito di Cadore, ieri mattina alle 8 Pigliapoco era di pattuglia insieme a un collega quando la richiesta di soccorso è arrivata al 112 da parte di alcune persone che avevano capito le intenzioni della signora nel vederla in bilico ad un’altezza di almeno 80 metri. Martina Pigliapoco ha impiegato, senza mai arrendersi, quasi quattro ore di trattativa per far sì che quella decisione di compiere un gesto estremo venisse cancellata completamente da qualsiasi pensiero. Il racconto a Cronache Ancona.

Come si è svolto l’intervento?
«E’ stato lunghissimo, improvvisato in tutto perché era inaspettato ma allo stesso tempo anche di un’emozione e un impatto emotivo grandissimi anche perché con lei sono entrata in empatia. Per me è diventata una persona molto importante. Questa donna me la porterò a vita nei miei ricordi e la sua immagine ce l’avrò sempre davanti».

Come ha fatto ad avvicinarla in un momento così drammatico?                              «Mi sono avvicinata fino a quando lei mi ha detto di non fare altri passi, di non muovermi. In quel momento ho deciso allora di sedermi per farle capire che avrei rispettato le sue volontà ma che allo stesso tempo non me ne sarei andata perché ero lì per aiutarla. Cosa che le ho detto più volte.  In una situazione di crisi così, immagino che vedere un carabiniere metta soggezione, quindi le ho fatto capire che anche se avevo la divisa, ero come una persona normalissima che cercava solo di aiutarla».

La carabiniera Martina Pigliapoco durante la trattativa (Ph. Carabinieri FB)

Dunque, si è seduta…
«Sì, perché ho pensato che mettendomici avrei dato un senso di tranquillità e infatti abbiamo iniziato a instaurare questo dialogo ma nelle prime 3 ore sembrava non volersi aprire. Solo poi c’è stato un punto di svolta e lei ha iniziato a raccontare, raccontarsi e a sfogarsi».
Quasi quattro ore, sono tante: si è mai arresa?
«La caparbietà è una parte di me, quotidiana. Quello che mi ha fatto andare avanti è la testardaggine. La mia idea, dall’inizio alla fine, era che non ci sarei riuscita, che purtroppo l’avrei vista volare giù. Era un’immagine bruttissima che avevo davanti agli occhi e che cercavo di scacciare in tutti i modi pensando, invece, a quella più bella che ci avrebbe visto abbracciate».
Alla fine, l’abbraccio c’è stato.
«Sì. Quella che sembrava essere un’utopia è diventata invece realtà. Con quell’abbraccio ho provato un’emozione fortissima, indescrivibile. Con l’argomento famiglia che avevo ripreso più volte senza successo, credo che alla fine sia scattato qualcosa in lei e siamo riuscite a sbloccare un po’ la situazione. Ha fatto una chiamata fondamentale per il risvolto positivo e, sentendo i famigliari, è cambiata e da lì si è sbloccato tutto per poi aprirsi con me».

(Ph. Carabinieri FB)

Il motivo di quel gesto, l’ha capito?
«Non era un momento semplice per lei. Sicuramente ci sarà stato un periodo di difficoltà che stava attraversando, ma non sono una psicologa. Indubbiamente sono momenti di difficoltà che si attraversano».
Le prime parole appena vi siete abbracciate?
«Continuava a ripetermi che aveva sbagliato. Che aveva creato ulteriori problemi con il gesto fatto. Il suo primo pensiero è stato sempre quello della famiglia ma con quelle parole mi stava anche ringraziando. Nei minuti successivi lo ha detto poi in maniera esplicita, così come mi hanno ringraziato i suoi famigliari».
Come è avvenuta la decisione di intervenire?
«E’ stato tutto molto repentino. Sono semplicemente arrivata prima e, giunta sul ponte, visto che la signora non era d’accordo che qualcuno si avvicinasse, il mio collega è rimasto indietro coordinando alla perfezione tutto il resto del lavoro che c’è stato. Il merito va sempre diviso».
Le manca Osimo?
«Sì, ovviamente mi manca molto. Ci sono nata e poi l’ho lasciata per l’Esercito andando quindi alla scuola carabinieri e quindi a San Vito di Cadore dove attualmente vivo».

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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