di Marco Benedettelli
Non si vedono macerie o crateri di bombe fra le case, le ferite di Gulu stanno sottopelle. Le portano le ex bambine e gli ex bambini soldato che oggi sono adulti ma che nei decenni delle violenze vivevano nella foresta da sequestrati. Ora la guerriglia è finita, restano i traumi però, che ricadono sulle nuove generazioni. «Ma a Gulu c’è anche la speranza. C’è il desiderio di essere ascoltati senza sentirsi giudicati ed essere accolti per ricominciare con una nuova possibilità», raccontano suor Dorina Tadiello e Suor Giovanna Calabria, due religiose comboniane che in questo lembo dell’Uganda, nei territori dei popoli Acholi a nord del Nilo, Africa centrale, operano nell’associazione Comboni Samaritans of Gulu e vivono nella solidarietà missionaria. Una solidarietà collegata anche alle Marche con un filo che resiste da quarant’anni, grazie all’associazione Centro Missioni di Osimo, che per Gulu e l’Uganda sostiene diversi progetti sociali con instancabile forza: per le scuole, per le donne rimaste vittime della guerra, per chi vive in strada, per i malati e tanto altro, come si legge nel suo sito: www.centromissioni.it. È dal 1985 che sono iniziate le prime collaborazioni e visite fra Osimo e l’Uganda, da allora ininterrotte.
«Negli anni abbiamo costruito relazioni, rapporti, amicizie che sono divenute sinergie e sostegni a distanza», spiega Liviana Pacini, la vice presidente dell’associazione Centro Missioni e responsabile progetti Uganda. Ad alimentare l’aiuto è la generosità dei singoli cittadini che supportano con il 5×1000, con offerte e altre forme di raccolta fondi: «Ci sono momenti alterni e questa è una fase difficile per le donazioni». L’associazione promuove anche viaggi fra le Missioni ugandesi con cui collabora, proprio per rafforzare i legami tra il nostro territorio e l’Africa centrale.
A Gulu le vie traboccano di uomini e donne affaccendati a guadagnarsi la giornata, di merci colorate esposte nei mercati, di boda boda, gli spericolati moto taxi che sfrecciano, oltre i suoi confini la città si perde nel verdeggiare della foresta. Ma l’orizzonte di case basse e difformi così pieno di vita è pure segnato dal martirio. Da metà anni Ottanta fino ai primi anni Duemila la regione degli Acholi era scossa e saccheggiata dal sedicente Lord’s Resistance Army (LRA) – l’Esercito di Resistenza del Signore, una milizia capitanata da Joseph Kony, il criminale di guerra che si credeva un medium e che rapiva bambine e bambini nei villaggi per portarli nella giungla e trasformarli in soldati, avvolto in un torbido fanatismo sincretista che mescolava messianismo pseudo cristiano a religioni indigene. Per venti anni ha tenuto sotto scacco l’Uganda del nord, in un lunghissimo strascico della guerra civile. Parliamo di uno degli episodi più allucinanti della storia africana contemporanea, che ha coinvolto 30mila bambini ridotti a guerriglieri rapiti e trascinati nella giungla e ha causato due milioni di sfollati, centinaia di campi profughi e atrocità con traumi di lunga durata.
Non c’è famiglia nel territorio di Gulu che non abbia avuto un lutto o un bambino rapito e trasformato in soldato, un figlio perso, una vittima o un mutilato durante un attacco. È in questa periferia di ultimi e dimenticati che il Centro Missioni porta il suo contributo a suor Dorina Tadiello e suor Giovanna Calabria. Affinché le Comboni Samaritans of Gulu possano aiutare cinquecento donne, oggi quarantenni, che un tempo erano state rapite per divenire bambine schiave e soldato nel Lord’s Resistance Army. Finita la guerra da vent’anni, su loro pesa ancora la violenza del passato e oggi restano delle “scartate”, delle rinnegate dalla comunità. Raccontano le suore: «A loro offriamo terapia e ascolto. Le aiutiamo anche a ripartire finanziariamente con diverse modalità a seconda delle loro possibilità. Alcune scelgono di dar vita a piccole attività imprenditoriali e vendere nei mercati locali, altre investono in attività agricole. Questo permette loro di vivere con dignità e di mandare a scuola i figli».
Ancora, le Comboni Samaritans of Gulu accolgono i giovani di strada, li accompagnano a ricostruire una vita attraverso laboratori, formazione e lavoro. Sono i figli di quelle famiglie che per decenni hanno vissuto nei campi profughi e ne sono uscite molto spesso distrutte. Di notte la città è la loro, girano radunati in bande, tra risse, abusi e violenza. Per aiutare quanti più ragazzi di strada possibile, suor Dorina Tadiello e Suor Giovanna Calabria hanno organizzato corsi per insegnare un mestiere, il falegname, la parrucchiera, la sarta. O l’allevatore e l’agricoltore, come avviene nella fattoria sociale alle porte della città che le suore hanno fondato. Qui c’è Michel, 26 anni che per 14 anni ha vissuto per strada e che adesso mostra con orgoglio l’ultima cucciolata di maialini attaccati alle mammelle della madre nella porcilaia e ci spiega che insieme a altri ragazzi vuole tornare alla terra. Animali, galline, capre, frutteti, mucche da latte sono un progetto di vita per non diventare un vagabondo magari a Kampala, la capitale dell’Uganda, dove tanti in cerca di fortuna finiscono tra espedienti e miseria, da sradicati.
Le ex bambine soldato, ora adulte nei progetti di Comboni Samaritans of Gulu. In mezzo suor Giovanna Calabria
Ma ci sono ancora altri fili che si diramano tra Gulu e le Marche, grazie alla tela di Centro Missioni. Uno di questi è allacciato al Sant Jude Children’s Home, luogo dove Peace, una delle coordinatrici, ci accoglie sulla sua sedia a rotelle sotto una pioggia scrosciante e ci guida per le stanze a conoscere bambini e assistenti sociali. Nato come rifugio dove i più piccoli cercavano scampo durante gli anni dei rapimenti del Lord’s Resistance Army, oggi ospita orfani, bambini abbandonati e rifiutati o con diverse disabilità, da tutta la regione (www.stjudechildrenshome.org). Anche Peace è cresciuta lì e adesso lavora fra le sue case rifugio, disseminate in un cortile tra gli alberi, all’ingresso oltre le barriere protettive c’è il murale con il volto di fratel Elio Croci, missionario trentino scomparso peri il Covid e una della anime dell’orfanotrofio. Sono circa settanta i bambini aiutati nella struttura, altri cinquecento vengono seguiti nei villaggi con la fisioterapia, la distribuzione di latte in polvere, il sostegno alla disabilità e il pagamento di tasse scolastiche, il tutto grazie alla forte unione che si è creata con le comunità e che si traduce anche in percorsi di inserimento per le persone disabili.
L’associazione St Jude Children’s Home sostiene anche venti persone sieropositive, che oggi rischiano di rimanere senza farmaci antiretrovirali, dopo lo stop improvviso di Trump ai finanziamenti Usaid, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, per l’Uganda una fonte economica cruciale. Dall’oggi al domani il Paese si è visto bloccare 950 milioni di dollari per i più vari progetti umanitari, 471 erano dedicati al settore sanitario, soldi che fino al 2024 costituivano più della metà del bilancio destinato alla Sanità.
I primi a essere colpiti da questo taglio brutale sono le persone malate. Lo testimonia un’altra realtà vicina al Centro Missioni di Osimo, quella del Alito Elders & Volunteers Home. «Lo vediamo nella paura che attanaglia il gruppo di donne sieropositive aiutate nei nostri progetti, sono vedove di mariti morti di Aids. Hanno l’ansia che presto non riceveranno più i farmaci antiretrovirali, fino a oggi finanziati da Usaid», a raccontarlo sono il missionario laico Michele Filippini e la moglie Annapia, ugandese. Entrambi operano nella diocesi di Lira, città a poca distanza da Gulu e vivono nel piccolo centro di Alito, dove negli anni della guerriglia sorgeva un campo profughi. L’elenco delle loro attività è davvero sorprendente.
«La zona è poverissima e noi, anche con l’aiuto del Centro Missioni di Osimo, curiamo tanti progetti, per gli asili, per la scolarizzazione dei ragazzi, per i malati di lebbra, per insegnare un mestiere alle donne. Siamo andati a cercare nei villaggi le vedove sieropositive, le abbiamo aiutate a uscire dall’emarginazione a cui le condanna i pregiudizi sulla malattia». Usaid in Africa rendeva possibile i progetti di cura all’Hiv/Aids tramite il programma Pepfar, senza questo supporto, racconta Annapia Filippini, le donne malate di Alito rischiano di dover spendere di tasca propria sui 170 euro all’anno di farmaci, una cifra folle per le loro economie che si basano spesso sulla carità. «Soffrono già la fame se la parentela non le sostiene o sono senza un piccolo appezzamento di terra da coltivare». Mentre invece grandi passi in avanti sono stati fatti, in un paese dai mille volti come l’Uganda che al di là delle sue ferite oggi continua a coltivare la speranza, una goccia dopo l’altra.
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