Cosa significa davvero curare quando la guarigione non è più possibile? È questa la domanda che ha guidato la giornata di riflessione organizzata ad Ancona dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche, che ha visto riuniti esperti, clinici e operatori della salute per un confronto intenso e partecipato sul tema delle cure palliative.
L’evento, dal titolo “Cure Palliative: una speranza per la cura dell’uomo?”, si è svolto nella Sala del Consiglio Comunale della città dorica e ha rappresentato un momento di rara profondità umana e scientifica, promosso dalla Sosd di Psicologia Ospedaliera diretta da Oriana Papa.
Il focus? Una medicina che non rinuncia a prendersi cura anche quando non può guarire. Una medicina che accompagna, ascolta e riconosce la dignità della persona nella sua fragilità.
Ad aprire la giornata, i saluti istituzionali del presidente del Consiglio Comunale Simone Pizzi, portavoce anche del sindaco Daniele Silvetti e dell’assessore ai Servizi Sociali Emma Caucci, affiancato da rappresentanti di spicco del mondo sanitario regionale: Cinzia Cocco, Andrea Ciavattini, Fulvio Borromei e Erica Adrario.
Il momento centrale è stata la lectio magistralis di Marco Maltoni, pioniere delle cure palliative in Italia, che ha raccontato un paradigma innovativo e profondamente umano di fare medicina: «Innovare significa anche tornare all’essenziale: alla relazione, all’ascolto, alla prossimità».
Un modello che affonda le radici nel lavoro visionario di Cicely Saunders, fondatrice della medicina palliativa moderna, che nel 1967 aprì a Londra il primo hospice. Con una formazione da infermiera, assistente sociale e medico, Saunders ha insegnato che c’è sempre qualcosa da fare: anche solo stare.
E proprio sull’idea della presenza come forma di cura si è soffermato Simone Pizzi, responsabile del Centro Regionale di Terapia del Dolore e Cure Palliative Pediatriche: «La medicina non fallisce quando non può guarire, ma quando si allontana da chi soffre. Le cure palliative pediatriche ci ricordano che la vera cura è restare, ascoltare, accompagnare nel limite.»
L’incontro si è concluso con la testimonianza dello scrittore Emmanuel Exitu, autore di un romanzo dedicato proprio alla figura di Saunders, che ha offerto un ponte tra narrazione e scienza, tra emozione e riflessione etica.
Grande attenzione anche alla dimensione psicologica della cura, con un appello alla responsabilità condivisa nel dare senso e supporto nei momenti in cui la vita si fa più vulnerabile. Perché, come emerso durante l’incontro, la speranza non è una fuga, ma un atto concreto: un gesto, uno sguardo, una presenza.
Una giornata che ha ridato voce a quella parte di medicina che non fa notizia, ma fa la differenza.
“I care – Mi occupo e… mi preoccupo”: un momento formativo dedicato alle cure palliative pediatriche
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