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Il comandante Grasso ai saluti:
«Colpito dall’amore per l’arte
manifestato dagli anconetani»

IL COMANDANTE del Nucleo carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (Ntpc) lascia le Marche per raggiungere Teramo e dirigere il reparto operativo del locale Comando provinciale. Si è distinto nel recupero delle opere danneggiate dal sisma del 2016 e nella restituzione alla collettività di reperti "dimenticati" o chiusi in case private

Il tenente colonello Carmelo Grasso, Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Ancona

 

di Giampaolo Milzi

Cinquantatré anni, aspetto da gentleman, siciliano. Sempre fedele all’Arma,  il tenente colonnello Carmelo Grasso, e alla sua testa, che lui stesso non esita a riconoscere «dura».  Grasso, nato a Cerami (Enna), l’11 settembre lascerà la guida del Nucleo carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (Ntpc) di Ancona-Marche, ruolo che aveva ricoperto dal settembre 2014 (ma dal 2016 anche come numero uno dell’Ntpc dell’Abruzzo) per raggiungere Teramo, a dirigere il reparto operativo del locale Comando provinciale. L’ennesimo giro di valzer, come tanti colleghi, dopo aver lavorato al Nucleo radiomobile di Carini, in provincia di Palermo, retto la Compagnia di Jesi, comandato la Sezione sicurezza delle sedi dei vari uffici giudiziari nel capoluogo siciliano. Per fare alcuni esempi di dislocazione in cui ha accumulato una variegata, notevole esperienza e tanti successi. Appassionatissimo nella sua professione, ma anche capace di pulsioni appassionate per le città che l’hanno visto «pensare ed agire». Appassionato anche dalla bellezza di Ancona. Dov’era arrivato col grado di capitano per partire con quello di tenente colonnello. «Felice dell’esperienza qui, dei salti di carriera, ma anche un po’ dispiaciuto di lasciare questa città dal fascino straordinario» confessa.

Grasso sulle macerie del sisma

«Sono rimasto colpito dal grande legame che gli anconetani, tantissime persone, di vari ceti e professioni e interessi, hanno col patrimonio culturale e artistico della città. Un legame che le istituzioni competenti dovrebbero avere in abbondanza». Quindi, nel suo lavoro ha trovato una stupefacente collaborazione tra i cittadini? «Sì. Ne sono prova alcune opere d’arte recuperate grazie a studi e segnalazioni di privati. Sono loro che, più volte, mi hanno messo sulle tracce, forti tracce, per le scoperte effettuate». Citiamo solo qualche esempio anconetano: la cosiddetta villa-castello in via Palombare che un vecchio proprietario aveva trasformato in un sorta di museo con decine e decine di reperti (stemmi, statue, archetti…) arraffati tra le macerie della città appena finita la seconda guerra mondiale; una delle due sculture di aquile romane in stile imperiale che fino alla seconda metà degli anni ‘40 si trovavano dietro il monumento a Traiano all’inizio di via XXIX Settembre; il quadro della Madonna col bambin Gesù restituita all’edicola sulla facciata del nobile Palazzo Jona-Millo in fondo a corso Mazzini; una delle cinque panchine di piazza Cavour che riportavano sullo schienale il bollettino della vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale. A segnare l’operatività del colonnello Grasso nelle Marche, il sisma che il 24 agosto e il 30 ottobre del 2016 martoriò l’Italia centrale. «Stravolse completamente il nostro lavoro, soprattutto concentrato nelle zone colpite. Abbiamo svolto un importante funzione di raccordo tra l’Unità di crisi regionale, di cui fa parte la Soprintendenza, e i territori dove avevamo le stazioni dei carabinieri.

L’aquila romana, oggi in pinacoteca, ad Ancona

I nostri organici, rinforzati con quelli dei Ntpc di Napoli, Bologna, Venezia ed altre città e con quelli dei Caschi Blu della Cultura (speciale Ntpc istituto nel 2015 per le emergenze, ndr) abbiamo recuperato assieme ai vigili del fuoco e ai volontari della Protezione civile una marea di oggetti d’arte, tanto che ad oggi solo tre o quattro sono ancora sotto le rovine». Un bilancio più che positivo dunque. «Sì, basta pensare che i beni per i quali intervenire nelle Marche erano 94mila, tra dipinti, sculture, oggetti ecclesiastici e materiale d’archivio, quattro volte più numerosi di quelli complessivi di Abruzzo, Lazio ed Umbria». Episodi curiosi da ricordare? «Almeno un paio. Uno riguarda una pala settecentesca della chiesa collegiata di San Pietro a Monte San Vito (chiesa semidistrutta e ancora inagibile, ndr) che raffigura il martirio del Santo. Quando l’abbiamo tolta dall’altare centrale per metterla in sicurezza (ora il dipinto si trova al Museo Diocesano di Senigallia, ndr), ed era la prima volta che accadeva, siamo rimasti sorpresi: abbiamo trovato nel retro un vano separato costituito da travi di legno, seguite da uno strato di carbonella». Carbonella? «Sì, perché grazie alla carbonella che ha funzioni di isolante e con quella stratagemma, già a quell’epoca avevano creato un buon sistema di deumidificazione, a protezione dell’opera».

Madonne delle Rose

Il secondo episodio conferma la capacità e la grinta del colonnello Grasso: «Durante un sopralluogo in una frazione di Ussita, San Placido, siamo entrati nell’omonima chiesa e ci siamo imbattuti in una enorme quantità di pezzettini di terracotta azzurri in terra. Da due, più grandi, abbiamo capito che si trattava della statua di una Madonna col Bambino. Ricostituirla come un puzzle? Un’impresa impossibile, c’erano altre priorità, secondo i funzionari delle Soprintendenze esterne presenti. Ma io, l’architetto Cristini della Diocesi e un mio collega che erano con me ci siamo guardati in faccia, un cenno d’intesa, e ci siamo messi a raccogliere quei pezzetti, prelevandone ben 340, considerando anche la seconda volta che siamo tornati sul posto, in accordo con la Soprintendenza di Ancona, quella di zona. Quei frammenti sono stati trasportati ad Ancona, nel deposito speciale della Mole Vanvitelliana. E quella Madonna, così preziosa e importante, la Madonna delle Rose, alla quale la popolazione locale era molto devota, è stata con certosina pazienza ricostruita a Roma». Dove, prima di tornare nella chiesa di Ussita (una volta ricostruita) resterà esposta a Castel Sant’Angelo fino a novembre in una mostra intitolata “Il mondo salverà la bellezza? Se fosse per il colonnello Grasso, quel punto interrogativo lo toglierebbe di sicuro.

 

Arquata saluta Carmelo Grasso: «Ha salvato dalle macerie tante opere d’arte»

Pala di Monte San Vito

Mosaico romano della villa delle Palombare

Il dipinto nell’edicola di Palazzo Jona

 

 

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