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Alluvione Marche, 14 indagati:
“Allarme dato in ritardo”

L'ACCUSA di "cooperazione in omicidio colposo plurimo" nei confronti di due funzionari dei vigili del fuoco, sei della Protezione Civile e altrettanti sindaci. Procede la procura de L'Aquila che avrebbe avviato le indagini anche per un secondo filone d'inchiesta per accertare la reale manutenzione dei fiumi e l'eventuale ipotesi di reato di disastro colposo. Sotto la lente degli inquirenti, i ritardi nello scambio di informazioni. Dopo lo straripamento dei fiumi Misa e Nevola, nel Senigalliese, morirono 13 persone

I vigili del fuoco durante i soccorsi a Senigallia per l’esondazione dei fiumi Misa e Nevola

Svolta nell’inchiesta sull’alluvione delle Marche del 15 settembre 2022 che causò 13 vittime: sono 14 gli avvisi di garanzia. “L’allarme fu dato in ritardo”.

In seguito al disastro causato da una violenta ondata di maltempo durante la quale esondarono i fiumi Misa e Nevola, nel Senigalliese, provocando la morte di tredici persone, è emerso dunque il coinvolgimento di diverse figure.
Le accuse nei confronti degli indagati riguardano la “cooperazione in omicidio colposo plurimo”.
Il caso però è passato dalla procura di Ancona a quella de L’Aquila poiché, tra i danneggiati, vi è anche un magistrato in servizio al tribunale del capoluogo.
Dunque, la procura abruzzese ha emesso inviti a comparire per l’interrogatorio a sei sindaci di Comuni situati nella valle dei fiumi Nevola e Misa, a due funzionari dei vigili del fuoco di Ancona e a sei tra funzionari, operatori e responsabili della Protezione Civile.

I vigili del fuoco durante i soccorsi a Senigallia

Le contestazioni riguardano condotte colpose commissive e omissive, per aver causato le morti delle persone coinvolte, a seguito di “negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di norme”. Inoltre, la procura starebbe effettuando accertamenti per un secondo filone d’indagine, relativo alla manutenzione dei fiumi, con l’ipotesi di reato di disastro colposo.

Per il pm Picuti l’allarme sarebbe stato dato in ritardo, scattò solo intorno alle 22, troppo tardi per mettere in salvo i cittadini. Le accuse principali si concentrano sulla scarsa prevenzione e gli allarmi tardivi, attribuiti agli indagati in varie forme. Il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Ancona è chiamato in causa per non aver garantito “l’immediato e continuo reciproco scambio di informazioni”. I sindaci di Arcevia, Barbara, Castelleone di Suasa, Serra de’ Conti, Ostra e Trecastelli, tutti dell’hinterland Senigalliese, per il mancato aggiornamento del flusso di informazioni a prefetto, presidente della Regione e Protezione Civile; del mancato presidio idrogeologico dei punti critici e la mancata informazione ai cittadini sui rischi idrogeologici.

Ai sei indagati della Protezione Civile regionale si contesta anche l’inosservanza di direttive e delibere, anche di Giunta regionale, nonché il mancato adeguamento delle procedure di allertamento regionale alle direttive e agli indirizzi del Dipartimento di Protezione Civile nazionale in materia di prevenzione del rischio idrogeologico e idraulico.

Largo Boito a Senigallia, nei pressi del Misa

L’inchiesta cerca dunque di fare chiarezza sulle responsabilità legate a questa tragedia, per la quale i sindaci sottolinearono fin da subito il ritardo dell’allarme, che tra le tredici vittime vide anche la morte del piccolo Mattia Luconi, di 8 anni; Noemi Bartolucci, di 17 e la mamma Brunella Chiu di 56 anni, il cui corpo trascinato dalla furia delle acque e del fango è stato ritrovato dopo circa un anno, da un pescatore, portato dalla corrente fino alle Tremiti.

(redazione CA)

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