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Estetiste e parrucchieri ultimi a riaprire:
«Tre mesi senza incassi
E chi ci tutela dagli abusivi?»

FASE 2 - Preoccupazione, ansia e rabbia sono i sentimenti degli operatori del settore. L'incertezza è sul fronte economico, con la mancanza di introiti e costi fissi da pagare, ma anche sulla piaga del lavoro in nero che rischia di accentuarsi e mettere ancora più in crisi le attività

Sonia Torbidoni

 

di Talita Frezzi

Una lenta e graduale riapertura delle attività commerciali nella ‘Fase 2′.  Alcune attività, però, dovranno ancora rimanere ferme. E’ il caso della categoria dei parrucchieri e delle estetiste. Tra i professionisti del territorio c’è malcontento per una proroga percepita come inaccettabile, se si pensa che il comparto del benessere a livello nazionale muove un indotto di 26 miliardi di euro e vede circa 70mila imprese impegnate. Di queste, il settore dell’acconciatura costituisce una fetta pari a quasi 10 miliardi di euro annui. E la forza lavoro impiegata nel settore in Italia riguarda circa 350mila addetti. Riaprire il 1 giugno è una doccia fredda. «Non pensavamo certo di arrivare a giugno – dice Sonia Torbidoni titolare della Parrucchieria Sonia di via Ascoli Piceno e della Lanterna Rossa barber & tattoo – ci stavamo organizzando per riaprire, con lezioni online con le ditte e tutorial. Un altro mese di attesa non ci voleva. Cercheremo con le associazioni di categoria di fare il punto per farci ripartire prima, considerando che già guanti monouso li avevamo e certe accortezze igieniche le avevamo. Per il resto ci adegueremo su mascherine e sanificazione, ma vanno riviste oltre alla data di riapertura anche i conti: tre mesi di chiusura significa che il 37% di incasso è perso, eppure abbiamo spese vive, dipendenti, conti da pagare. La cassa integrazione per i dipendenti non è stata erogata, una preoccupazione in più». Sonia cerca tuttavia di essere positiva, ma se la salute deve essere il primo obiettivo di tutti, qualche domanda se la pone: «come mai a quei parrucchieri che hanno gli appalti negli ospedali e case di riposo è stato concesso di lavorare, se queste strutture sono quelle dove ci sono stati più contagi? Questo ritardo nella riapertura non farà altro che agevolare il lavoro in nero, piaga su cui nessuno interviene».

Francesca Nicolini

Preoccupata anche Francesca Nicolini, titolare del salone Che Chic a Montemarciano. «Francamente eravamo pronte a ripartire prima, ma non abbiamo mai perso di vista la sicurezza e la salute, perché purtroppo siamo in una regione in cui i contagi sono ancora alti. Certo, si poteva far riaprire gradatamente, magari consentendo solo alla titolare di andare a lavoro contingentando i clienti e lavorando su appuntamento. Poi è l’etica professionale che ti porta a dare un decoro al salone, con attrezzature pulite e spazi sanificati. Non capisco il motivo di un altro mese di stop. La mia preoccupazione principale è poi per le mie dipendenti: non vengono ancora erogate le casse integrazioni, da marzo sono senza stipendio e non mi sento serena. Tre mesi senza stipendio sono davvero troppi. E per noi che stiamo fermi, c’è chi si ingegna a lavorare. Questo periodo di chiusura sta agevolando l’abusivismo, che nel settore c’è sempre stato, ma adesso sta guadagnando campo perché non ci sono controlli, nemmeno a livello comunale. L’abusivismo oltre che illegale in questo particolare momento potrebbe arrecare danni alla salute pubblica, e sarebbe perseguibile non sono fiscalmente ma anche penalmente».

Martina Manoni

«Non mi stupisce questo mese in più di chiusura, mi amareggia ma non mi stupisce – è invece il commento di Martina Manoni, titolare del centro estetico BackStage di Jesi – mi aspettavo che saremmo stati gli ultimi ad aprire perché è impossibile mantenere le distanze interpersonali. Spero che ci diano linee guida più chiare sui tempi tra un cliente e l’altro, sulla gestione (un operatore per un singolo cliente), sulla sanificazione degli ambienti e macchinari, sull’uso di guanti e mascherine, accortezze che in realtà abbiamo sempre adottato e che non ci sconvolgono così tanto. Organizzerò il centro togliendo la sala d’attesa e dando alle clienti delle ciabattine in modo da lasciare le scarpe all’ingresso, lavorando solo su appuntamento e a porta chiusa, visto che posso contare su un parcheggio privato in cui le clienti possano eventualmente aspettare. Certo, un altro mese senza incassi è dura. L’insoddisfazione nasce dal fatto che siamo stati lasciati soli e questo fa arrivare all’esasperazione. Non contiamo nulla come categoria, le associazioni di categoria non ci tutelano. Questi mesi di chiusura agevoleranno l’abusivismo (che c’è sempre stato) di chi esercita la professione in modo approssimativo, in nero a domicilio. Qualcosa deve cambiare necessariamente».

Sabrina Perticaroli

«Sono delusa, arrabbiatissima, un altro mese chiusi è incomprensibile – dice Sabrina Perticaroli di Lotos Estetica a Senigallia – avevamo la possibilità di aprire prima, con tutti gli accorgimenti necessari, perché il centro è grande, ha cabine singole, un terrazzo grande e una reception che permetterebbe l’ingresso contingentato dei clienti. Le misure di igiene e di sanificazione degli ambienti e strumentazioni le abbiamo sempre adottate, così come l’uso di guanti e mascherine. Cosa cambia aprire adesso o aspettare un mese? Abbiamo voglia di lavorare e secondo me, la nostra categoria serve alla gente, non solo per una questione estetica ma anche di decoro e di gestione dello stress e dell’ansia che derivano da questo brutto periodo. Certo ogni situazione lavorativa è a sé, allora ben vengano i controlli. Ma aspettare un altro mese è inutile. Ci vuole buon senso nel rispetto delle regole, chi lo ha sempre avuto non ha problemi ad aprire anche adesso, chi ne è sprovvisto non si adeguerà comunque alle regole, neanche dopo il primo giugno». Sabrina pone l’accento anche sui costi che ci sono, anche se il centro estetico è chiuso da tre mesi.

Michele Santarelli

«Abbiamo costi fissi da sostenere, la merce è stata ordinata e va pagata ai fornitori, i costi di gestione ci sono così come le bollette – conclude – tre mesi senza incassi è dura, per le dipendenti abbiamo attivato la cassa integrazione ma non è arrivata e non sappiamo come fare. L’apertura a settori voluta dal Governo non ha senso. Inoltre c’è chi lavora a domicilio, per non perdere guadagno in barba a chi rispetta le regole. Avrebbero dovuto darci le direttive per la sicurezza, garantire i controlli e farci lavorare. Da parte mia confesso che c’è grande preoccupazione e delusione per l’importanza del nostro settore». «So che Cna e Confartigianato hanno chiesto un incontro in Regione per chiedere al presidente Ceriscioli di far aprire prima della data del primo giugno – dice Michele Santarelli della “Barbieria” di Falconara Marittima – al momento c’è grande incertezza sulle linee guida da adottare per sanificazione, presidi e ingressi contingentati. Credo che un altro mese di chiusura agevolerà chi lavora in nero e a domicilio, piaga che sta interessando anche i tatuatori e chi fa toelettatura per cani. Aspettiamo direttive più chiare e resistiamo, ma non è facile».



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