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La pediatria ai tempi del Covid 19,
gli operatori “diventano” cartoni animati
«Un reparto a portata di bambino» (FOTO)

LE TESTIMONIANZE di medici e infermieri del Salesi: «Siamo fortunati, il contatto quotidiano con i bambini ci insegna a vedere il mondo con occhi diversi e cosi una serie di Dpi indossati con fatica per proteggersi e proteggere da un mostro invisibile possono farti diventare “Lady Cocca”»

Mascherine, doppi guanti, visiere, tute. E’ proprio difficile, se non impossibile, aiutare i piccoli pazienti di Malattie infettive del Salesi con l’empatia di un abbraccio o di un sorriso come prima dell’arrivo del coronavirus. Per questo l’equipe ha avuto l’idea di trasformare con la fantasia i dispositivi di protezione in maschere dei cartoni animati. E non solo. Sono tanti i piccoli grandi accorgimenti che in questo periodo tengono su di morale non solo i bambini ma anche gli operatori sanitari alle prese con l’emergenza. Tutto nasce da alcune mascherine di colore arancione. A raccontarlo lo staff al lavoro nel reparto.

Come è nata questa idea, dott.ssa Federica Zallocco (Pediatra)?

«L’idea è nata in una stanza del reparto di Malattie infettive: durante la visita, indossando delle mascherine di colore arancione, abbiamo fatto finta di essere delle papere strappando un grande sorriso al bimbo ricoverato. Da quel momento ho pensato alla grande fantasia che hanno i bambini, a come potessimo apparire ai loro occhi e ad un modo più vivace per avvicinarci ai nostri piccoli pazienti. Così ho pensato di “trasformare” gli operatori sanitari che lavorano al mio fianco in personaggi dei cartoni animati. L’ospedalizzazione può essere vissuta come un evento traumatico ed il nostro impegno quotidiano è anche quello di far sì, soprattutto in questo momento, che il periodo di degenza sia vissuto dal bambino e dal genitore che lo accompagna nel modo più sereno possibile. Inoltre, lavorare insieme ai bambini e alla loro fantasia è una grande ricchezza anche per noi operatori sanitari, perché aiuta ad affrontare con più entusiasmo questo periodo difficile che stiamo vivendo. È un modo anche per condividere con serenità il lavoro con i nostri figli o familiari a casa che sono molto divertiti dal nuovo “look” della mamma o del papà. Il nostro è sempre stato un Ospedale appassionato alle esigenze dei piccoli bambini e alla costante ricerca delle modalità per alleviare la loro possibile sofferenza.

La giostra ruotante

Entrando nel reparto delle Malattie infettive ad esempio si trovano tante piccole accortezze ideate e create dalle nostre infermiere proprio per rendere a “portata di bambino” il reparto. Un esempio la giostra volante e ruotante che ad ogni stagione assume un aspetto differente (farfalle a primavera, fiocchi di neve in inverno,…) che è stata creata dall’infermiera Ivana Malizia per distrarre i piccoli al momento di procedure potenzialmente dolorose come quella del prelievo ematico, o i bellissimi dipinti dell’infermiera Marilena Marrocchi. Ed anche in questo tempo di emergenza lo sforzo di assistere nel modo migliore possibile i pazienti è mantenuto da parte di tutti gli operatori sanitari coinvolti in prima persona».

Come è cambiato il vostro lavoro, Dott.ssa Ines Carloni (Pediatra)?

«L’avvento della pandemia da Covid-19 ha richiesto, nel nostro ospedale e anche nel reparto di Malattie infettive, cambiamenti organizzativi riguardanti le consuete attività assistenziali (sospensione delle attività ambulatoriali e dei ricoveri programmati), così come stabilito da percorsi ministeriali, regionali ed aziendali dedicati. Questo al fine di garantire da un lato spazi adeguati ad accogliere pazienti con sospetta infezione da Sars Cov 2, dall’altro per ridurre l’afflusso verso la struttura dei piccoli pazienti e dei loro familiari, per prestazioni non urgenti e quindi differibili, nell’ambito del rispetto del distanziamento sociale.

All’interno del reparto di Malattie infettive e negli spazi comuni dell’ospedale, si sono resi inoltre necessari alcuni cambiamenti strutturali, per rendere possibile l’attuazione di percorsi predefiniti dedicati ai sospetti Covid 19. L’impegno più significativo è stato però quello di realizzare cambiamenti comportamentali volti a rendere il personale sanitario facilitato nell’affrontare questa nuova infezione virale, mettendo essi stessi in sicurezza, riuscendo a garantire adeguata assistenza ed abbassando il rischio di contagio intraospedaliero. Ciò con il corretto uso di dispositivi di protezione individuale; usufruendo in maniera coscienziosa degli spazi comuni; limitando le visite mediche con razionalizzazione degli ingressi al fine di evitare un uso eccessivo di Dpi; rispettando percorsi predefiniti. Tutto ciò, dopo iniziali ed attese difficoltà, si è realizzato grazie alla versatilità della struttura del reparto di Malattie infettive ma soprattutto grazie alla disponibilità e professionalità del personale medico, infermieristico ed ausiliario.

Abbiamo percepito il dispiacere della separazione di genitori dai propri figli e consorti, il loro isolamento nelle stanze di degenza, spesso con comunicazioni avvenute via cellulare, la impossibilità di tranquillizzare con la comunicazione non verbale….una stretta di mano, un abbraccio, un sorriso….Questa esperienza ci ha fatto toccare con mano un vissuto di preoccupazione, per la nostra incolumità, per quella dei pazienti, delle nostre e delle loro famiglie; un vissuto di incertezza poiché la conoscenza di questa patologia è “giovane” e in parte mutuata da altri contesti; la difficoltà di riorganizzare e programmare il dopo pandemia per l’incertezza dell’evoluzione temporale dell’emergenza Covid 19.

Abbiamo tratto da questo momento difficile insegnamenti importanti e gratificazioni, quali il rafforzare il senso di appartenenza, la collaborazione per un intento condiviso che è quello di dare il meglio anche nelle situazioni più impegnative in cui ognuno di noi affronta anche le proprie fragilità».

Come è cambiato il vostro lavoro infermieristico, Francesca Belli (coordinatrice della Sos Malattie infettive)?

«L’emergenza Coronavirus ha comportato una riorganizzazione completa degli spazi e del personale afferente alla Sos Malattie infettive in primis e alla Sod Pediatria in un secondo momento. Ci siamo dovuti riorganizzare per affrontare sia il problema del Covid ma anche per garantire l’assistenza abituale dei pazienti che afferiscono per altri problemi. Ciò ha richiesto un grande sforzo da parte di tutti gli operatori sanitari, con necessità di reclutare altro personale infermieristico dalle altre aree pediatriche.

Gli infermieri si sono ritrovati a lavorare in condizioni nuove, dovute ai dispositivi di protezione individuale che ti costringono a lavorare completamente bardati dalla testa ai piedi, alla difficoltà a reperire una vena in un neonato/lattante con il doppio guanto, alla necessità di cercare di sdrammatizzare il momento difficile per il bambino che si vede costretto in ospedale assistito da persone estranee di cui non può vedere nemmeno il viso.

In questo particolare momento per il nostro ospedale, vorrei ringraziare tutti gli infermieri perché si sono resi disponibili a lavorare nelle nuove aree Covid e non Covid che sono state create in poco tempo, accantonando momentaneamente la propria specificità acquisita nel proprio reparto. Questo ha sicuramente creato alcune difficoltà iniziali perché sono state necessarie nuove regole e una continua riorganizzazione dei turni lavorativi, ma ha rafforzato e unito il gruppo infermieristico di tutta l’area pediatrica Salesi».

Cosa ha comportato e comporterà questa emergenza nella vostra professione, Dott. Alessandro Volpini (Pediatra)?

«Domanda interessante per rispondere alla quale probabilmente non basterebbe un intero volume della Divina Commedia. Da operatore sanitario che, come tanti miei colleghi in questi giorni, ha vissuto questa pandemia da dentro le corsie e a stretto contatto con i malati ed i loro familiari le posso dire che è stato uno tsunami che ha rivoluzionato la nostra vita professionale e non solo. Pochi nanometri di Rna frammisto ad alcune proteine, perché di questo si tratta, in grado di mettere sotto scacco un sistema considerato efficiente e all’avanguardia.

Volendo essere onesti, c’è da sottolineare come in molti, per non dire tutti abbiamo sottovalutato questa minaccia considerandola “distante” dal nostro sistema occidentale e sicuri che non ci avrebbe toccato ed invece ci ha investiti come nessun altro evento mai prima d’ora. Ci siamo dovuti riadattare strada facendo commendo errori dai quali abbiamo imparato e che ci sono costati caro in termine di perdite umane anche tra colleghi e amici (penso a tutti i medici e operatori sanitari che hanno perso la vita svolgendo il lavoro che avevano scelto e nel quale credevano). Ci siamo trovati a percorrere un viaggio di cui non conoscevamo e tutt’ora non conosciamo la meta, con un “navigatore non aggiornato” (che nel nostro modo è costituito da linee guida, protocolli, procedure tutti da ripensare e generare in poco tempo).

E poi l’aspetto umano caratterizzato dalle emozioni: spesso ci hanno dato degli eroi, ma non è vero, noi siamo solo professionisti che svolgono l’attività che hanno scelto cercando di farlo nel migliore dei modi. Stiamo convivendo con la paura, l’ansia, la preoccupazione per noi stessi e per i nostri familiari perché prima che operatori sanitari siamo tutti mamme, papà, figli, fratelli e sorelle. Proprio partendo da questo turbine di emozioni che accomuna tutti noi che ci ritroviamo fianco a fianco tutti i giorni per un obiettivo comune stiamo riscoprendo il senso più profondo del lavorare “insieme”, del dare e ricevere conforto da chi ci sta accanto, il senso di riconoscenza verso chi in un momento di così grande difficoltà ci sta aiutando, come può e stiamo aprendo gli occhi perché nonostante le mascherine riusciamo a vedere meglio “chi c’è e chi non c’è”.

Noi come pediatri siamo fortunati, il contatto quotidiano con i bambini ci insegna a vedere il mondo con occhi diversi e cosi come una serie di Dpi indossati con fatica per proteggersi e proteggere da un mostro invisibile possono farti diventare “Lady Cocca”, così una situazione drammatica può diventare una risorsa. Io credo che nessuno di noi dopo questa esperienza sarà più come prima, probabilmente dovremmo rivedere il nostro concetto di benessere e di sanità; la salute non può essere un “mercato” perché fin dai tempi di Ippocrate la medicina è stata e rimarrà la scienza più umana che esiste quindi dobbiamo far si che i principi di solidarietà, rispetto delle persone e della vita, comprensione e unione che abbiamo riscoperto in questi mesi continuino a pervadere la nostra attività professionale e soprattutto la nostra vita di comunità».

 

 



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