di Giulia Ciarlantini
A meno di un’ora di distanza a est di Dnipro, la città ucraina che è stata colpita dai bombardamenti russi ieri mattina, si trova Dniprodzerzhynsk, città natale di Elena Parfonova, mamma ed estetista a tempo pieno, che dal 2015 abita a Loreto. In Ucraina vivono suo papà, zie e cugini. «Il mio paese ancora non è stato bombardato – riferisce – ma è accerchiato e riesco a sentire la paura nei racconti dei miei parenti che si trovano là». A 27 anni con una valigia piena di speranze, alla ricerca di un futuro migliore per lei e per suo figlio di appena quattro anni, Elena ha detto addio all’Ucraina approdando in Italia. «Mio figlio mi chiede cosa stia succedendo nel nostro Paese. Io non voglio spaventarlo troppo, – aggiunge Elena – soprattutto dopo questi due anni terribili che abbiamo passato. Ciononostante, posso vedere i suoi occhi lucidi quando vede le immagini dei carri armati». Nella sua voce si sente dolore, nostalgia e orgoglio per la sua gente: «Il popolo ucraino ne ha passate tante, non ha la spensieratezza e leggerezza italiana, ma ha la stessa semplicità, bontà di cuore e grande spirito di unione nelle difficoltà. Una mia amica che vive vicino alla capitale è fuggita qui a Porto Recanati, raggiungendo la figlia. Mi ha raccontato delle file lunghissime per salire in treno, in mezzo agli spari e ai controlli molto severi, per non far uscire gli uomini tra i 16 e 60 anni».
Ma qui nella Marche Elena ha anche delle amiche e colleghe russe e ci tiene a sottolineare che «nessuno vuole la guerra, la speranza che finisca tutto il prima possibile c’è da entrambe le parti». Una guerra dove i veri nemici sono la manipolazione, l’ignoranza, la confusione di cui il popolo, soprattutto quello russo, è vittima, e su cui i potenti fanno leva. «Alcune delle mie colleghe sostengono che l’intenzione di Putin non sia quella di colpire la popolazione civile, che si tratti solo di incidenti» ricorda Elena. “Incidenti” contro i civili che sono in continua crescita e che includono tra le vittime ospedali pediatrici, intere famiglie, mamme, bambini, in fuga verso il confine con una misera valigia che racchiude tutto quello che rimane della loro casa e del loro passato.
«Ho lasciato l’Ucraina ripromettendomi di tornare a visitarne tanti altri posti meravigliosi. Ora vedendoli distrutti, mi si spezza il cuore. Proseguire la mia vita normalmente qui mentre vedo la mia terra cadere a pezzi, e non trasmettere le mie paure a mio figlio, è molto difficile confessa Elena. Che lancia un appello alla pace, a vedere «persone di fronte a noi, e non russi o ucraini». Un appello a non dimenticarci dell’individualità delle persone, che va oltre la popolazione di provenienza. «Generalizzare è pericoloso. – fa osservare ancora Elena – Nella stessa Ucraina non manca chi sostiene il governo di Putin, e neanche chi prova tanta rabbia e odio puro verso i russi. Altri sono neutri, non capendo bene cosa stia succedendo tra i due governi. E purtroppo sono pochissimi quelli che hanno conservato come me l’amore nel cuore, anche per chi sembra nemico, perché capiscono che le persone comuni non hanno colpe». Con gli occhi lucidi Elena immagina e rivede la sua terra, «con quel piatto fumante di Borsch al centro del tavolo, un minestrone di ingredienti semplici e poveri, che hanno per me profumo di casa e di pace».
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