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«Per uscire dalla zona arancione
ecco come fare la nostra parte»

L'INTERVENTO di Claudio Maria Maffei, medico e direttore sanitario in pensione - Auto intervista all'esperto: «Dobbiamo darci delle regole, trovandoci in una Regione in cui la diffusione del virus sta portando gli ospedali vicini al collasso con decine di morti alla settimana e tanti focolai in atto negli ospedali e nelle strutture per anziani»

 

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Claudio Maria Maffei

 

di Claudio Maria Maffei*

Da oggi le Marche sono di nuovo in zona arancione. Solo il presidente Acquaroli sembra stupito. Con quasi 500 nuovi casi e 10 decessi al giorno e con un ulteriore, seppur leggero, aumento dei casi di ricovero compresi quelli in terapia intensiva non potevamo non finire in zona arancione. E infatti ci siamo finiti e rischiamo di rimanerci. Ma inutile tornarci sopra e prendersela col governo centrale che ci imporrebbe vincoli eccessivi. Dimentichiamoci per un attimo di cosa voglia dire essere in fascia arancione (tanto ce lo ripetono tutte le ore in tutte le forme) e chiediamoci invece quali sono i comportamenti che ognuno di noi deve assumere in momenti come questo. Nella consapevolezza, è ovvio, che la società deve trovare comunque il modo di vivere socialmente ed economicamente oltre che sopravvivere al virus. Immaginiamo allora di doverci dare delle regole da soli trovandoci in una Regione in cui la diffusione del virus sta portando gli ospedali vicini al collasso con decine di morti alla settimana e tanti focolai in atto negli ospedali e nelle strutture per anziani. Cosa faremmo? Intervisteremmo un esperto che ci risponderebbe in questo modo.

Esperto, ma il virus come si trasmette?

«Il virus viene trasmesso dall’uomo, suo unico serbatoio, dove può vivere in media per un paio di settimane durante le quali la persona è contagiosa. Purtroppo una buona parte delle persone infette non ha sintomi e quindi non è riconoscibile come “pericolosa”. Quando una persona infetta tossisce, starnutisce, parla o canta, queste secrezioni vengono rilasciate dalla bocca o dal naso. Le persone che sono a contatto stretto (diciamo ad una distanza inferiore ad un metro) con una persona infetta possono contagiarsi se le goccioline entrano attraverso la bocca, il naso o gli occhi. Mi dimenticavo: le persone colpite possono rilasciare goccioline infette su oggetti e superfici. Ci si può contagiare anche toccando questi oggetti o superfici».

Ma sono tante in giro le persone che possono contagiare gli altri pur non avendo sintomi?

«Sappiamo che al di fuori degli ambienti a rischio come gli ospedali e le strutture residenziali per anziani le persone infette sono poche, come ci accorgiamo negli screening di massa dove meno dell’1% delle persone che partecipa risulta positivo. Ma se di gente ne incontri tanta e, soprattutto, se la incontri in ambienti chiusi, sovraffollati e poco ventilati il rischio sale e sale molto. Tanto è vero che la pandemia scende molto lentamente».

Se partecipiamo tutti allo screening di massa?

«Purtroppo non serve quasi a niente. Anzi può fare peggio. Se sei negativo oggi, puoi essere positivo domani. Poi, molti positivi sfuggono e vanno in giro convinti di essere “sicuri”. Non per niente la Provincia di Bolzano che ha esaminato in tre giorni a novembre i due terzi della popolazione è ancora in zona rossa. Nelle Marche in un mese ha partecipato meno di una persona su quattro. Nel frattempo chissà quanti nuovi positivi si sono formati dove lo screening è già passato».

Allora cosa si può fare?

«Si possono fare alcune cose semplicissime. Basterebbe mantenere una distanza fisica di almeno un metro da tutte le persone diverse da quelle con cui viviamo, lavarsi frequentemente le mani e indossare la mascherina. Mascherina che obbligatoriamente deve coprire il naso, sennò non serve a niente, deve essere pulita, deve essere cambiata spesso e non deve essere continuamente toccata con le mani. Poi si dovrebbe limitare al massimo la frequentazione di ambienti chiusi sovraffollati e poco ventilati. E il naso, ripeto, che tu ce l’abbia bello o brutto, piccolo o grande, lo devi coprire, il naso lo devi coprire».

Nulla di nuovo. Queste regole le sanno tutti. Perché non funzionano?

«E’ vero: sono regole banalissime. Le troviamo scritte dappertutto e nemmeno le leggiamo più. Ma c’è un problema: non tutti fanno tutte queste cose sempre. E invece le debbono fare tutti e le debbono fare sempre. Giovani e anziani, la gente che lavora e i pensionati, chi vive in paese e chi vive in città, la mattina e la sera, se piove o se c’è il sole. Tutti sempre. Sennò, basta una festa per un compleanno, un matrimonio o un pensionamento per scatenare un focolaio. E il virus gira sempre di più».

Allora dobbiamo stare chiusi dentro casa?

«No, non ho detto e non volevo dire questo. Dico solo che dovremmo ricordarci che il virus in fondo è come se ci facesse giocare a flipper. Le buche sono gli ospedali. La pallina sono i nostri movimenti. Più sono frenetici e più facilmente la pallina finisce in buca. Più noi sbatacchiamo il flipper per muoverci e più rischiamo di farlo finire in tilt. E cioè di arrivare in una situazione in cui i nuovi casi sono troppi per i Dipartimenti di Prevenzione e i pazienti troppi per gli ospedali che non riescono più a seguire gli altri pazienti. Se invece ci muoviamo evitando di sbattere con troppe altre palline e teniamo bassa la velocità della pallina il gioco si prolungherà, speriamo, fino a quando col vaccino il flipper non si potrà illuminare più con l’odioso segno del tilt».

Quindi i famosi “dipiciemme” (i decreti del presidente del Consiglio dei ministri) hanno ragione a darci tutte queste regole a volte anche un po’ stupide?

«Magari a volte queste regole potrebbero essere più ragionevoli, ma servono a farci evitare il tilt, come dicevo prima. Proviamo oggi a fare un ragionamento diverso e chiediamoci: se tutti sempre seguissimo quelle regole banalissime di cui abbiamo appena parlato forse eviteremmo di dovere subire tutte le limitazioni di quei dipiciemme che non sopportiamo più. In ogni caso avremmo la soddisfazione di avere fatto la nostra piccola parte che, se fatta da tutti, ci aiuterebbe ad aspettare facendo anche noi qualcosa il nostro turno per vaccinarci. E adesso una domanda ve la faccio io. Vi sembra ancora così insopportabile quell’arancione pensando ai dati e ai comportamenti di tante persone?».

* Medico e direttore sanitario in pensione

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