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«Avevo febbre ma non tosse,
se mi avessero curato prima
forse ora non sarei in ospedale»

INTERVISTA - Dallo scorso 19 marzo il sassoferratese Gianluca Minardi è ricoverato all'ospedale di Jesi per una polmonite da Covid: «Se s'intervenisse con celerità molti casi come il mio potrebbero essere seguiti a casa senza andare a saturare i reparti. Qui è dura e gli infermieri ci danno coraggio. Sono sicuro che prima o poi ne usciremo. Ce la faremo»

Gianluca Minardi sul letto dell’ospedale di Jesi dove è ricoverato

 

Sorriso, emozioni e sentimenti positivi sono sempre state le armi vincenti di Gianluca Minardi, titolare del bar ‘Smilzo’ di Sassoferrato. ‘Isolamento per contagio da Coronavirus’ sono le parole che, appena due settimane fa, hanno cambiato l’orizzonte quotidiano di questo 43enne. La febbre alta, la scoperta di essere stato infettato dal Covid 19, il ricovero all’ospedale a Jesi, il dover indossare il respiratore d’ossigeno, il vedere i sanitari muoversi attorno a lui protetti da camice, mascherina, cuffia e guanti, hanno trasformato quella stanza del ‘Carlo Urbani’ in un microcosmo senza punti di riferimento. Ci è stato risucchiato dentro insieme alle sue certezze, lontano da tutto e da tutti, anche se a Sassoferrato in tanti contano i giorni per riabbracciarlo. Di questi tempi la corsia di ospedale è una specie di «lazzaretto» come la definisce scherzando Gianluca. Dove il tempo scorre lento e dove la solidarietà tra personale e pazienti tiene alto il desiderio di guarire presto per tornare a casa,  come racconta a Cronache Ancona.

Gianluca tutto è cominciato il 19 marzo….
«Si, qui a Jesi sono arrivato quel giorno dopo che all’ospedale di Fabriano mi avevano trovato positivo al virus con una polmonite estesa in entrambi i polmoni. Una cosa è certa, le tempistiche d’intervento per aiutare chi è contagiato sono troppo lunghe. Nel mio caso avevo febbre da 5 giorni sempre sui 39 gradi prima dell”intervento del 118. Al secondo giorno di febbre alta ho contattato il numero verde regionale descrivendo i miei sintomi, hanno subito snobbato la mia richiesta perché al telefono avevo detto di essere privo di tosse e di respirare bene».

Magari hanno pensato che non fossi un paziente grave…
«Premetto che ho sempre respirato bene e che anche i giorni a seguire, anche dopo il ricovero non ho avuto mai tosse. Io devo dire grazie alla mia tempra, al mio buono stato di salute che sta reggendo alla malattia, ma per molti si arriva all’ospedale già in condizioni critiche che possono mettere a rischio la vita. Se s’intervenisse con celerità molti casi come il mio potrebbero essere curati a casa, senza andare a congestionare e saturare i nosocomi della nostra regione convertiti per accogliere i pazienti Covid».

Come si vive isolati in ospedale?
«E’ difficile. Io spero di uscirne presto, perché qui dentro è veramente dura, dobbiamo solo ringraziare il corpo infermieristico che si prodiga per la nostra salute e soprattutto ci supporta con qualche sorriso e qualche chiacchiera».

Quali sono le difficoltà maggiori che affronta di chi è malato lontano dai propri affetti?
«Oltre alla sofferenza fisica? Credo che una mancanza fondamentalmente sia nell’assenza totale di un servizio di supporto psicologico per i pazienti, importante per chi non ha i mezzi per tirarsi su di morale. Oltre il corpo anche l’anima va aiutata come elemento fondante di ripresa per lo spirito. Ho visto anziani soli che non hanno figli dire “… io fuori non ci ritorno…“. La rassegnazione è la prima sconfitta e qui dentro non ce la si può permettere».

Comunque l’Istituto superiore di sanità  parla di un picco dei contagi quasi raggiunto…
«Qui all’ospedale di Jesi oltre ai 4 già esistenti reparti di “covideria”, la Marina Militare sta allestendo un nuovo ospedale da campo con altri 40 posti. Non credo che la situazione sia ancora sulla via della normalizzazione».

Qual è la prima cosa che farai appena sarai dimesso e tornerai a casa?
«Dopo il ricovero ci sarà la quarantena domiciliare. Anche se non potrò riabbracciare nessuno mi accontenterò di sentire e rivedere dal vivo i miei bimbi e l’affetto della mia compagna. Poi sogno di gustami un gran bel piatto di carbonara, che non guasta!»

Che mondo sarà, secondo te, quello del dopo-Coronavirus?
«Speriamo di uscirne tutti più virtuosi e meno egoisti. Per adesso a chi sta casa, dico con insistenza di spegnere le TV: basta telegiornali, basta ascoltare numeri su numeri. Non fatevi abbassare le difese del sistema immunitario seguendo la cronaca dei bollettini di contagi e decessi. Sapete a memoria come comportarvi: dedicatevi esclusivamente alla bellezza e al fascino discreto delle piccole cose. Ne usciremo prima o poi. Ce la faremo. Mi sento di augurare buona fortuna a tutti».



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