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Testimoni e inquinamento delle prove:
Simone e Pino Santoleri arrestati
per l’omicidio Rapposelli (Video)

INDAGINI - La misura cautelare è stata emessa questa mattina e ha portato in manette l'ex marito e il figlio della pittrice, indagati per concorso in omicidio e distruzione di cadavere. Ad incastrarli le contraddizioni, le telecamere della statale e della superstrada Giulianova-Tolentino ed alcune testimonianze. Ipotesi movente economico. Il fascicolo passerà alla procura di Teramo
Ancona, il Pm Irene Bilotta fa il punto in conferenza stampa

Un momento della conferenza stampa ad Ancona: da sinistra il colonnello Americo Di Pirro, il procuratore facente funzione Irene Bilotta ed il colonnello Stefano Caporossi

 

di Federica Serfilippi

Omicidio Renata Rapposelli, finiscono in carcere Simone e Giuseppe Santoleri. La misura cautelare è stata emessa questa mattina, a quasi quattro mesi esatti dal ritrovamento senza vita del corpo della pittrice, scoperto a Tolentino il 10 novembre scorso. A richiedere un provvedimento urgente è stato il pm Andrea Laurino che a gennaio ha trasmesso gli atti al gip Carlo Cimini a causa  dell’inquinamento probatorio inscenato, secondo la procura, dai due indagati. L’accusa è di concorso in omicidio volontario aggravato dal legame di parentela con la vittima e distruzione di cadavere. L’ex marito e il figlio maggiore della donna sono stati svegliati questa mattina all’alba dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Ancona e dai militari di Giulianova nelle loro abitazione di via Galilei. Sono stati portati in caserma, poi è scattato il trasferimento nel carcere di Teramo. Per giovedì alle ore 1o è stato fissato l’interrogatorio di garanzia per padre e figlio. Con la disposizione della misura cautelare, il gip si è dichiarato incompetente per territorialità e domani il fascicolo passerà direttamente nelle mani della procura di Teramo a cui spetterà il compito di seguire le fasi finali dell’inchiesta nata dopo la denuncia di scomparsa sporta da due amici della pittrice a fine ottobre. 

Simone e Giuseppe Santoleri

Prima di emettere l’ordinanza e farla diventare esecutiva questa mattina, il giudice Cimini ha avuto tempo due mesi per studiare tutti gli indizi raccolti dagli investigatori guidati dal pm Andrea Laurino. A far scattare l’arresto sono state le molteplici contraddizioni nei racconti degli indagati. Uno fra tutti, la dichiarazione di Giuseppe di aver accompagnato l’ex moglie a Loreto il 9 ottobre, dopo che lei era arrivata a Giulianova con il treno. Per gli inquirenti, invece, Reny non avrebbe mai lasciato la cittadina abruzzese. Almeno da viva. Sarebbe morta tra il pomeriggio del 9 ottobre  e la notte del giorno successivo, “una morte non macchiata da sangue” ha detto il procuratore capo facente funzione Irene Bilotta, “anche se l’autopsia non ha definito con certezza le cause del decesso”.  Tra le ipotesi della morte: il soffocamento e l’avvelenamento. A dire che la donna è rimasta in Abruzzo sono state almeno due testimonianze: quella della farmacista di Tortoreto che ha dichiarato di aver venduto un parafarmaco alla pittrice nel pomeriggio del 9 e le affermazioni di un’istruttrice della palestra che si trova sotto casa dei Santoleri. La donna ha riferito di aver sentito attorno alle 16.30 Simone ingiuriare contro una donna e urlare: “Dopo tanti anni sei tornata qui per portarti via mio padre”. Ci sono poi le immagini di due telecamere della statale e della superstrada che da Giulianova conducono verso Tolentino. I frame, alle 11.15 del 12 ottobre, hanno ripreso la Fiat 600 dei Santoleri percorrere quella strada in direzione della contrada Pianarucci, dove sarebbe poi stato ritrovato il cadavere di Renata. Dalle immagini si vede il portabagagli, da cui era stato tolto il pianale, con all’interno degli scatoloni. Quelli che, dice la procura, sono serviti per coprire il corpo senza vita della pittrice, imballato con dei sacchi della spazzatura  e trasferito nel portabagagli dell’auto tra il 9 e il 10 ottobre. Il loro obiettivo era quello di far scivolare il corpo verso il fiume Chienti, ma non ci erano riusciti, dato che il cadavere si era fermato prima di toccare l’acqua. Un ulteriore elemento che ha fatto scattare l’urgenza della misura cautelare per il rischio dell’inquinamento delle prove è che Pino e Simone volevano rottamare la 600 e comprarne una nuova per disfarsi probabilmente del mezzo che aveva trasportato il cadavere della donna. Inoltre, nel richiedere il provvedimento, la procura ha anche considerato l’atteggiamento degli indagati che hanno querelato due persone per diffamazione: sarebbero entrambe due ex fiamme di Simone. Una di queste aveva dichiarato in televisione che il figlio della pittrice conosceva molto bene la zona di Tolentino.

L’area dove è stata trovata

Secondo l’accusa, le denunce sporte sarebbero state un modo per intimidire le testimoni e spingerle a ritrattare quanto dichiarato pubblicamente. Indizi importanti sono anche emersi dall’analisi forense del pc sequestrato agli indagati. Da quanto emerso, Simone sarebbe incappato in ricerche riconducibili alla parola Chienti. E ancora: l’uomo si sarebbe scaricato la sentenza della Cassazione sul caso Roberta Ragusa, la donna scomparsa e il cui corpo non è stato mai ritrovato. La ricerca era stata effettuata prima del rinvenimento del cadavere della Rapposelli. Il verdetto della Corte aveva ribaltato il proscioglimento del marito della donna, stabilito in un primo momento dal tribunale, facendolo poi finire a processo. C’è poi il movente. La magistratura è certa che dietro l’omicidio ci siano motivi di natura economica.  La pittrice aveva litigato con gli indagati  perché pretendeva dall’ex marito 3 mila euro di arretrati sul mantenimento. La donna era in procinto di agire in maniera esecutiva per ottenere la somma che secondo lei le era dovuta. A questo si aggiunge il risentimento di Simone per il timore che la madre ed il padre potessero andare via insieme lasciandolo solo e senza soldi. Simone, infatti, vive solamente con la pensione mensile di Pino, ex operaio in raffineria. 

 



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