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«Il Covid mi ha cambiato la vita,
8 mesi per vincere questa battaglia
Ora la racconterò in un libro»

LIETO FINE - E' tornato a casa oggi l'ex sindaco di Osimo, Stefano Simoncini. «Non dimenticherò quello che ho vissuto e penso di metterlo a frutto per aiutare gli altri non appena starò meglio. Ho perso 25 chili e devo ancora fare fisioterapia per rimettermi del tutto in piedi. Ma sono vivo perché almeno per 3 volte, nell’arco di questi lunghi mesi di ricovero, San Giuseppe da Copertino ha voluto rimandarmi su questa terra»

Lo striscioni degli amici per salutare il ritorno di Stefano Simoncini

 

 

«Sono commosso e sorpreso. Non mi aspettavo davvero una accoglienza così affettuosa oggi nel mio quartiere, al Borgo. Ho telefonato anche a don Dino Cecconi, il parroco rettore della cattedrale e a padre Giancarlo Corsini, guardiano del convento di San Giuseppe da Copertino per ringraziarli e ricordare loro che il campanone del duomo di Osimo si suona solo per eventi eccezionali non perché qualcuno ritorna dall’ospedale». Stefano Simoncini risponde dallo smartphone con una voce allegra anche se ancora un po’ flebile. L’ex sindaco di Osimo, 54 anni, geometra di professione e vignettista per passione, alla fine di febbraio è stato uno dei primi osimani a vivere sulla propria pelle l’aggressione impietosa del Covid 19. Una ferita che non si dimentica. Sorride al pensiero che stamattina per festeggiare il suo rientro a casa siano state fatte suonare a festa le campane delle chiese del centro storico, con gli stessi onori tributati agli eroi del passato, e per salutarlo gli amici abbiano srotolato striscioni, fatto partire gli applausi nei pressi della sua abitazione.

Stefano, a rendere eccezionale questo ritorno c’è forse il suo triste record, almeno nelle Marche, degli 8 mesi di degenza tra terapia intensiva, divisione Utic all’ospedale di Torrette e poi nella struttura riabilitativa al Santo Stefano?

«Sono stati otto mesi e mezzo più un giorno per la precisione».

Li ha contati uno ad uno?

«Soprattutto ho sentito tutto il peso. Sì, chiamiamolo record. Dei primi due trascorsi in terapia intensiva a Torrette non ricordo quasi niente. Il coma farmacologico mi ha cancellato i ricordi persino della settimana precedente al ricovero. Quando mi sono svegliato e mi hanno trasferito nel reparto Utic-Unità cardiologica perché nel frattempo avevo avuto 3 arresti cardiaci ho percepito una sensazione brutta: ero prigioniero del mio corpo mentre la mia mente era tornata lucida. Non riuscivo a parlare per via della tracheotomia. né a muovere la gambe ed il bacino, le braccia e le mani. Ero immobile a letto. Se non sono impazzito è solo perché i medici e il personale infermieristico, che si muovevano accanto a me, hanno continuato a tranquillizzarmi sugli sviluppi del mio stato di salute. Mi dicevano che piano piano sarei uscito da quell’incubo»

C’è stato un pensiero che nei frangenti più difficili le ha dato la forza di continuare a vivere?

«Non nascondo che in questo lungo arco di tempo sono stato colto dallo sconforto in più momenti, soprattutto mentre ero ricoverato all’ospedale di Torrette. All’Utic ero chiuso da solo in una stanza e potevo vedere i miei familiari solo sporadicamente, per mezz’ora a settimana, senza abbracciarli perché era tassativo rispettare il metro di distanza. Potevo parlare con chi era all’esterno dell’ospedale solo attraverso le video telefonate. Oltre al personale del reparto in quei momenti difficili mi è stato davvero vicino il cappellano, il padre cappuccino Enrico Matta che avevo conosciuto quando era morto mio padre. Veniva spesso a trovarmi in camera, le sue parole mi facevano stare bene. Mi portava i saluti anche di tutti i parroci di Osimo»

Sentiva quindi l’affetto di Osimo, città che ha guidato come sindaco per cinque anni…

«Si certo oltre a quello dei miei familiari, degli amici. Questo mi ha dato la spinta per andare avanti. La crisi più profonda è arrivata la scorsa estate. Aspettavo, giorno dopo giorno, la notizia del mio trasferimento al centro di riabilitazione di Santo Stefano di Porto Potenza Picena ma non arrivava mai l’ok per l’accettazione, anche per via della riduzione degli accessi dopo l’ondata Covid. Un giorno sono scoppiato del tutto e sono andato proprio giù. E’ stata la giornata più deprimente perché non riuscivo a vedere la fine del tunnel. Due infermiere mi hanno abbracciato e cercato di farmi coraggio ripetendomi che non dovevo arrendermi, che aveva fatto tanta strada in questo cammino complicato, che dovevo crederci e avere ancora pazienza perché la situazione si sarebbe sbloccata. Dopo 7 giorni sono stato dimesso dall’ospedale e trasferito al Santo Stefano. Ora sono a casa ma, anche a causa del forte dimagrimento (nei due mesi di immobilizzazione sul letto della terapia intensiva ho perso 25 chili), avrò bisogno ancora di fare fisioterapia per rimettermi in piedi del tutto».

Tra gli amici in festa al Borgo stamattina c’era anche Dino Latini, presidente del Consiglio regionale e cofondatore con Stefano Simoncini delle Liste civiche Osimo

Che cosa ha condiviso con gli altri ammalati?

«L’emozione più intensa è stata toccare con mano la sofferenza di tante persone ricoverate al Santo Stefano. Una sofferenza diffusa, che ho fatto mia ma che mi ha anche impressionato, che non risparmia nessuno, avvocati, pensionati, pescatori senza differenza di ceto sociale. Ho vissuto anche il dolore del lutto per chi non ce l’ha fatta e se n’è andato. Ero in camera con Attilio, un osimano come me. Era stato dimesso dal Santo Stefano per essere accolto in una casa di riposo. Dopo una settimana abbiamo saputo che è  morto e questo mi ha molto addolorato. Per due mesi ci eravamo parlati e salutati. Si era creato tra noi un bel rapporto umano».

Che insegnamento le lascia questa esperienza?

«Premetto che mai avrei immaginato di viverla. Per il Covid ho rischiato la vita, anche per tutte le complicanze mediche che ha prodotto sulla mia salute fisica. Penso che in questi mesi almeno per 3 volte San Giuseppe da Copertino, il nostro santo patrono, mi ha rimandato indietro su questa terra. E mi sento privilegiato rispetto a chi non c’è più. Di certo oggi sono cambiato e tutto questo mi ha fatto capire che le opere di misericordia evangeliche, le visite gli ammalati sono una verità, una necessità sacrosanta per chi è ricoverato. Quando si sta in un letto di ospedale, una telefonata, una visita, un messaggio possono cambiare la giornata, riaccendere la speranza. Non dimenticherò quello che ho vissuto e penso di mettere a frutto quello che ho imparato per aiutare gli altri non appena starò meglio. Puoi pubblicherò un libro con 90 vignette tutte a tema Covid per raccontare questa esperienza con un pizzico di ironia».

Quindi la vena artistica non si è estinta neanche durante i mesi della malattia?

«No per fortuna! Appena ho potuto ha cominciato a disegnare sul mio tablet o sullo smartphone. In camera al Santo Stefano c’era la televisione e ascoltavano spesso il telegiornale delle reti nazionali ma le notizie erano sempre quelle: covid, la curva dei contagi cresce. A noi che l’emergenza sanitaria l’avevano vissuta sulla nostra pelle facevano un certo effetto. Quelle notizie mi stimolavamo a disegnare una o più vignette satiriche al giorno. Le prime 24 saranno pubblicate nel calendario del geometra che anche quest’anno, come è ormai tradizione, pubblicherò. Sto ancora lavorando al libro. Ho disegnato già 70 vignette create di getto e appena avrò raggiunto il numero di 90 darò alle stampe il volume. Lo voglio fare a futura memoria per non cancellare questi quasi 9 mesi in ospedale. Si intitolerà ‘Il mio Covid: vignette dal coronavirus’. Servirà a me per sdrammatizzare su questa mia parentesi di vita e a chi lo leggerà per ricordare che il Covid esiste, eccome».

(m.p.c.)

Ha vinto la battaglia contro il Covid: campane a festa e striscioni per il ritorno a casa di Stefano Simoncini



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