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Appalti pubblici truccati,
interdetti tre imprenditori:
ex finanziere indagato per corruzione

INDAGINE - I militari delle Fiamme gialle hanno scoperto un presunto sodalizio volto alla turbativa d'asta. Le imprese si spartivano i lavori di tutta la provincia di Macerata e alcuni anche nel Fermano e nell'Anconetano per un totale di 26 milioni di euro. Oltre a loro è al vaglio la posizione di direttori dei lavori e di responsabili delle stazioni appaltanti. L'inchiesta è durata oltre un anno

 

 

Una associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e alla corruzione: eseguite dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Macerata tre misure interdittive che hanno portato al divieto di ricoprire ruoli direttivi in imprese per altrettanti imprenditori del Maceratese.
L’operazione è scattata alle prime ore dell’alba. Impegnati tutti gli uomini del Nucleo di polizia tributaria di Macerata, diretto dal colonnello Andrea Magliozzi. Eseguite diverse perquisizioni e tre misure interdittive, per la durata di mesi 8, nei confronti dei rappresentanti legali di altrettante società. Un sodalizio ritenuto responsabile di sistematiche turbative d’asta. 
In particolare, gli imprenditori coinvolti, concordando la forbice entro la quale offrire il maggior ribasso, riuscivano ad aggiudicarsi, con assoluta certezza, la maggior parte degli appalti pubblici indetti nella provincia di Macerata e nelle zone limitrofe. Le imprese aggiudicatarie, successivamente, cedevano in subappalto le opere ad imprese colluse, al fine di ottenere la spartizione, tra il sodalizio, dei lavori appaltati.
L’attività investigativa, avviata da oltre un anno, ha permesso di accertare fattispecie di turbativa d’asta su diverse procedure di gare pubbliche esaminate, indette tra il 2014 e il 2016, principalmente nelle provincie di Macerata, Fermo, Ancona e Perugia, e relative ad appalti di lavori pubblici per oltre 26 milioni di euro.
Il modus operandi del sodalizio era quello di presentare offerte di ribasso formulate a tavolino, in modo da realizzare la cosiddetta scaletta delle offerte di ribasso. In sostanza presentavano una serie di offerte vicine in modo da orientare l’offerta mediana che portava all’esclusione di offerte troppo basse e naturalmente di quella più alta. In questo modo nella maggior parte dei casi riuscivano a portare a casa l’appalto. Successivamente all’aggiudicazione della procedura, l’impresa vincitrice della gara non effettuava alcuna prestazione (oppure ne eseguiva solo una minima parte), ma incassava l’importo dell’appalto, girando alle imprese subappaltatrici, che avevano effettivamente eseguito in tutto o in parte i lavori, la quota parte dell’importo di spettanza.

Il suddetto sistema, inoltre, prevedeva la sistematica emissione, e conseguente utilizzazione, di fatture per operazioni inesistenti, necessarie per azzerare lo squilibrio economico e finanziario che si determinava tra le imprese aggiudicatarie ed i reali esecutori dei lavori (per noleggio a freddo di mezzi meccanici concessi in locazione all’appaltante, per forniture di materiali impiegati nei cantieri, per distacco di personale dipendente, per conferimenti d’incarico tecnico).
La quota spettante all’impresa che formalmente si aggiudicava la singola gara variava, mediamente, tra il 3% ed il 17% dell’importo assegnato.
L’analisi documentale delle gare d’appalto oggetto d’indagine ha evidenziato precise responsabilità in capo ad alcuni direttori dei lavori e di responsabili unici del procedimento delle Stazioni appaltanti, la cui posizione è al vaglio degli inquirenti. E’ stato accertato che, in qualità di pubblici ufficiali, hanno permesso l’esecuzione dei lavori in spregio ai dettami di legge, favorendo un ingiusto vantaggio patrimoniale alle imprese che effettivamente li avevano eseguiti, a tale scopo redigendo atti falsi (verbali di consegna dei lavori, stati di avanzamento dei lavori, certificati di ultimazione dei lavori, relazioni sul conto finale, certificati di regolare esecuzione).

Nel corso delle indagini è stato, inoltre, scoperto un caso di corruzione posto in essere da un militare della Guardia di finanza, all’epoca dei fatti in servizio a Macerata, e da diversi mesi in congedo assoluto. Nel dettaglio, è stato accertato come il militare abbia rivelato, dietro compenso di almeno 40mila euro, notizie ed informazioni sulle quali vigeva il segreto investigativo, ad uno degli imprenditori indagati, in tal modo vanificando le ulteriori attività investigative in corso.
Accogliendo la specifica richiesta formulata dalla Procura, il Gip del tribunale di Macerata ha emesso l’ordinanza cautelare oggi eseguita, concernente il divieto di esercitare la professione di imprenditore, nonché di ricoprire uffici direttivi in imprese, per la durata di 8 mesi a carico dei tre imprenditori maceratesi, ritenuti responsabili dei reati associazione per delinquere, turbata libertà degli incanti, falsità ideologica, ed emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti nonché, per uno dei tre, di corruzione e concorso in rivelazione di segreto d’ufficio.
Nei confronti dell’ex finanziere, con la stessa ordinanza, è stata eseguita la misura cautelare reale del sequestro per equivalente della suddetta somma (40mila euro), ritenuta profitto dei reati ascrittigli: corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio.

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