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«La musica è responsabilità,
torniamo a reagire alla società
con note e parole»

L'INTERVISTA - È il messaggio che Ginevra Di Marco, voce femminile dei Consorzio Suonatori Indipendeti, intende lanciare dal palco de "La mia generazione", il festival diretto da Mauro Ermanno Giovanardi (dal 13 al 16 settembre alla Mole di Ancona) per rivivere il decennio degli anni '90 che ha segnato la storia della musica italiana

Ginevra Di Marco, tra gli ospiti de “La mia generazione Festival”

 

di Agnese Carnevali

È appena ventitreenne quando nel 1993 quando partecipa come ospite in Ko de mondo primo disco dei Consorzio Suonatori Indipendenti (Csi) con i quali resterà per i dieci anni successivi . «Un’esperienza di vita e formativa», così la definisce tutt’oggi, Ginevra Di Marco, e che segna indelebilmente la sua carriera che poi, nel decennio successivo, è caratterizzata dal viaggio attraverso la tradizione popolare, da quella della sua Toscana per allargarsi ai canti popolari del Mediterraneo. È questo il mondo di cui l’artista è pronta a dare testimonianza sul palco de “La mia generazione”c. Il numero zero di un Festival nato da un’idea di Mauro Ermanno Giovanardi, per rivivere un decennio dagli anni ’90 al 2000, che ha fatto la storia del rock indipendente italiano.

Cosa l’ha portata a partecipare a “La mia generazione”?

«Il fatto che il progetto sia di Mauro Ermanno Giovanardi è stato un aspetto determinante. È un illustre protagonista della scena musicale degli anni ’90, conosciuto e stimato. E poi la presenza di tanti artisti con i quali abbiamo condiviso un’epoca importante della storia della musica italiana. L’idea di potersi ritrovare tutti ad Ancona, ciascuno con la propria testimonianza di percorso musicale, mi ha subito convito. Sarà anche l’occasione per ritrovarsi non solo tra colleghi, ma anche tra amici, per riabbracciarsi. Una sorta di grande rimpatriata».

Cos’hanno significato gli anni ’90 nella storia della musica italiana?

«È stato un decennio prolifico ed importante per il nostro Paese. Io ho avuto la fortuna di militare in un gruppo che è diventato punto di riferimento per quel periodo e naturalmente per me. Ero appena 23enne quando ho iniziato con i Consorzio Suonatori Indipendenti e con loro ho vissuto le prime grandi esperienze di palchi, registrazioni, ricerca musicale. È stato un percorso artistico, ma anche formativo, umano e di pensiero. Un decennio intenso che ha segnato la mia carriera di cantante. Ho sviluppato la necessità di rimanere indipendente. È stato un insegnamento che non ho più abbandonato».

Ha parlato di “rimpatriata”, ma il Festival è stato presentato come qualcosa di più di un “amarcord”, un’occasione per dare nuova spinta alla scena musicale italiana, un’operazione possibile?

«Gli artisti che provengono da quel decennio hanno vissuto un tempo diverso ed una libertà che oggi ritengo più difficile trovare. Si tratta di un passato recente a ben pensarci, eppure che appare lontanissimo. La musica oggi è molto più frammentata. I giovani di oggi si sono formati o si stanno formando in maniera diversa e credo abbiano una mentalità diversa dalla nostra. Non dico migliore o peggiore, ma diversa. Sicuramente per noi la musica era, ed è, un modo per dire delle cose, per ragionare sull’andamento della società. Avevamo un forte senso critico rispetto a quello che ci capitava intorno. Oggi questo aspetto della musica credo si sia perso. Vedo i giovani artisti troppo chiusi nel loro mondo. Non c’è quella maturità nel vedere nella musica anche uno strumento per indignarsi. Manca il coraggio di dire: “questo non mi piace”. Sembra quasi che questo momento storico ci abbia tramortiti. Ecco, vorrei che “La mia generazione” potesse servire per risvegliare questo sentimento di reazione di fronte a qualcosa che non ci piace o che non riteniamo giusta».

Il meccanismo dei talent e le diverse modalità di selezione e affermazione degli artisti emergenti possono essere la causa di questo “tramortimento”?

«La possibilità oggi sono molte di più, e questo non è di per sé un male. Ma forse solo apparentemente ci sono più possibilità, perché credo che oggi sia più difficile per un giovane capire cosa conta davvero e cosa c’è da fare davvero per affermarsi. Anche la diffusione delle Rete, capace di smuovere migliaia di ragazzi in maniera indipendente dalle etichette o dalle case discografiche, rappresenta un canale importante, da non demonizzare, però serve una testa attenta a non farsi ingannare da percorsi che si pensa possano portare chissà dove ed invece rischiano di non portare da nessuna parte. Per fare musica serve serietà, dedizione. È un mestiere che si costruisce giorno dopo giorno ed un mestiere di responsabilità. Perché ci si espone agli altri. Ecco, penso serva responsabilità nel dire le cose e nel farle fluire all’esterno. Ma ci sono begli artisti e belle intelligenze che possono crescere».

E nel suo futuro, cosa c’è?

«Attualmente sono impegnata con i concerti con Cristina Donà. Abbiamo deciso di unire i nostri percorsi. Artisticamente siamo nate insieme e abbiamo molte affinità nel sentire la musica. Ci siamo spesso incrociate anche se i nostri percorsi hanno seguito vie diverse, ma sapevamo che prima o poi ci saremmo incontrate e fatto qualcosa insieme. Mescoliamo esperienze e repertori. È un concerto condiviso».

Ne avremo un assaggio anche ad Ancona?

«Qualche sprazzo, ma presenterò soprattutto qualche ricordo del tempo che fu ed anche parte della musica che è arrivata dopo, tutto quel mondo popolare e di interpretazione che per me è stato molto importante».

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