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«Le microplastiche nel cuore
raddoppiano rischio di infarto ed ictus»
Ricercatore marchigiano tra gli autori dello studio

SALUTE - Francesco Prattichizzo vive a Milano ma è originario di Ancona, ha studiato ad Urbino prima di intraprendere la carriera al di fuori delle Marche. Ha collaborato allo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista “The New England Journal of Medicine”

Il dottor Francesco Prattichizzo

di Claudia Brattini

Le micro e nanoplastiche sono ovunque ma la scoperta sorprendente è che si insediano anche nel cuore, la loro presenza nelle placche aterosclerotiche aumenterebbero di ben due volte il rischio di infarto e ictus.

Ne parliamo direttamente con il ricercatore Francesco Prattichizzo, primo autore del grande studio coordinato dal professor Giuseppe Paolisso dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e presidente del Civ dell’Irccs Inrca, che ha coinvolto numerosi enti di ricerca italiani ed esteri, tra cui Harvard Medical School di Boston, Ircss Multimedica Milano, le Università Politecnica delle Marche, con la professoressa Olivieri (UnivPm), Sapienza e Salerno, e l’Ircss Inrca di Ancona.

Francesco Prattichizzo, ricercatore all’interno di Ircss, Multimedica di Milano, vive a Milano ma è originario di Ancona, ha studiato ad Urbino prima di intraprendere la carriera al di fuori dalle Marche.

Come è nata l’idea di questo studio e quale è stato il suo ruolo?

«L’idea nasce dai professori dell’università della Campania, io mi sono occupato della parte metodologica, quindi la preparazione del protocollo che comprende la pianificazione degli esperimenti, l’analisi dei risultati e infine la scrittura. L’obiettivo di questo studio era cercare le microplastiche nelle placche aterosclerotiche della carotide e correlarle ad una malattia».

Come si è svolto lo studio?

«L’indagine è stata condotta su 257 pazienti over 65 anni seguiti per 34 mesi dopo essere stati sottoposti a un’endoarterectomia per stenosi carotidea (n.d.r. un intervento chirurgico di rimozione delle placche aterosclerotiche cioè i depositi di grasso nelle arterie, che si effettua quando le carotidi si restringono e c’è un rischio di ictus). Le placche poi sono state analizzate con il microscopio elettronico e i pazienti con placche contenenti le microplastiche, sono stati monitorati. Quello che è emerso è che i pazienti con placche contaminate avevano un rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause raddoppiato rispetto a pazienti con placche aterosclerotiche “pulite”».

Si parla sempre più spesso delle microplastiche, ma cosa sono e come le ingeriamo?

«Le micro e nano plastiche sono ovunque in natura, sono state trovate nei terreni che si coltivano, nelle acque, nelle montagne e perfino nell’aria che respiriamo. Sotto 5 millimetri sono definite microplastiche mentre sono 1 micron (0,001 millimetri) si parla di nano plastiche. In genere più sono piccole le particelle di plastica e più aumenta la probabilità di assorbirle all’interno del corpo. Le vie d’ingresso sono i polmoni, le vie digestive e anche la pelle.
La legislazione si sta adeguando ma ad esempio molte creme e dentifrici contengono micro plastiche definite primarie, cioè che vengono inserite appositamente. Altra fonte è l’ingestione, i frutti di mare come le cozze ne sono pieni, ad esempio. L’origine delle microplastiche è la plastica di scarto dei nostri rifiuti – non differenziate al 100 % – che si degradano nell’ambiente».

Quale meccanismo potrebbe essere alla base del nesso tra microplastiche e placche aterosclerotiche?

«L’ipotesi fatta è le microplastiche inducano fenomeni infiammatori nella placca rendendola più instabile e quindi pericolosa. Tuttavia, dobbiamo considerare anche il fenomeno di casualità inversa: le placche magari erano già peggiori a causa dello stile di vita, colesterolo alto ecc.»

Possiamo considerare le microplastiche un nuovo fattore di rischio per la salute?

«Al momento è opportuno avere cautela nella risposta, la nostra evidenza è associativa, quindi non possiamo ancora parlare di fattore di rischio».

Che scenari apre questo studio per la ricerca?

«Sicuramente dovremo capire le possibili vie di esposizione alle microplastiche e anche come le differenze di stile di vita influenzano la presenza o assenza delle stesse. Su 257 casi il 58% aveva una presenza di plastica ma abbiamo analizzato solo le placche, mentre in futuro sarà interessante studiare le vie di ingresso delle microplastiche, la presenza di microplastiche nel sangue e capire nella popolazione generale che evidenze emergono. Dovremo indagare se le microplastiche nel sangue da sole rappresentano un fattore di rischio».

Con quale messaggio possiamo concludere?

«Citando lo studioso Philip J. Landigran, a capo del programma per la salute pubblica globale e professore dell’Università di Harvard, la plastica è un grande vantaggio per l’umanità ma è necessario essere consapevoli dei danni che produce alla salute, oltre che all’ambiente.
A mio avviso è importante essere cauti ma avere consapevolezza che in tutto il mondo la ricerca sta indagando gli effetti della plastica sull’ecosistema e sulla salute, il nesso con le le malattie metaboliche ad esempio.
Se riuscissimo a diminuire il consumo di plastica nella nostra vita quotidiana sarebbe già una buona cosa».

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