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«Nessuna fuga dell’Inrca verso Roma,
penso ad un’equipe di giovani
e ad una ricerca utile al territorio»

L'INTERVISTA - Fabrizia Lattanzio confermata direttrice scientifica dell'Inrca di Ancona, dopo la nomina a coordinatrice della rete nazionale degli Ircss sull'Aging, traccia gli obiettivi dei suoi prossimi 5 anni di mandato. E sulla nuova struttura dell'Aspio: «Non abbiamo ancora affrontato il tema spazi per la ricerca con la Regione»

Fabrizia Lattanzio, direttrice scientifica dell’Inrca di Ancona

 

 

di Agnese Carnevali

Inrca, si va definendo la nuova governance dell’Istituto di ricerca ed ospedale geriatrico di Ancona. Dopo la nomina di Roberto Bernabei a presidente del Civ, arriva la conferma di Fabrizia Lattanzio a direttrice scientifica, a poche settimane dall’attribuzione del suo incarico a coordinatrice nazionale di una delle cinque reti di Ircss istituite dal ministero della Salute, quella dedicata all’Aging. Si attende ancora, invece, il rinnovo del direttore generale della struttura, anche se pare certa la conferma di Gianni Genga.

Lattanzio, la sua nomina a direttrice scientifica ricorda che l’Inrca, spesso associato alla sola idea dell’ospedale Geriatrico, è anche un Istituto di ricerca nazionale. Può dirci qual è la sua attività come centro di studi e come questa si integra con quella dell’assistenza ospedaliera?

«L’Inrca è un ospedale di ricerca, inserito tra i 51 Ircss nazionali e tra questi ha però la particolarità di essere l’unico specializzato per la Geriatria. Facciamo ricerca traslazionale, ovvero l’obiettivo è applicare i risultati di laboratorio al malato. La ricerca è organizzata in linee, che vengono approvate dal ministero. Ne abbiamo quattro: biogenteologia, che indaga i meccanismi biologici alla base dell’invecchiamento e le relazioni tra l’invecchiamento e le malattie che si sviluppano durante l’età. Altre due linee sono di impatto clinico sull’invecchiamento in salute: si lavora sia in termini di prevenzione sia sul concetto della longevità. Da un lato analizziamo quegli elementi che possono migliorare l’invecchiamento: attività fisica, nutrizione, corretti stili di vita, ma ci concentriamo anche sulla multimorbilità, caratteristica tipica del paziente anziano complesso, che manifesta più di una patologia contemporaneamente. L’ultima linea è quella che riguarda la salute pubblica: l’organizzazione dell’assistenza, i modelli assistenziali, l’implementazione della tecnoassistenza».

Quali sono i progetti di ricerca sui quali siete impegnati in questo momento?

«Due i principali. Un progetto europeo che coinvolge 8 Paesi, che nasce da una domanda clinica e sta seguendo una metodologia che può arrivare a dare una risposta, e che riguarda la funzionalità renale degli ultrasettantacinquenni e degli ultraottantacinquenni. Le formule che abbiamo a disposizione oggi, infatti, riguardano uomini e donne adulti. Per cui noi facciamo le analisi e da quei valori desumiamo come sta il paziente. Ma quei valori siamo certi che possano essere applicabili anche a persone con più di 75 o di 85 anni? Noi vogliamo andare a vedere e ad identificare quei  fattori che ci consentano di valutare veramente la funzione renale in questi soggetti. Quali test fare per prevenire la compromissione renale. Altro progetto importante un trail su paziente diabetico. Sempre nel caso di un paziente 75enne, noi seguiamo la classica terapia, ma è sufficiente vedere se la glicemia si è abbassata per capire come sta rispondendo alle cure? L’anziano mantiene comunque un livello di autonomia psicofisica? Insomma vogliamo andare a personalizzare le risposte per questa popolazione».

Quali sono gli obiettivi che intende raggiungere in questo suo mandato? 

«Oltre a portare avanti le linee di ricerca vorrei lavorare di più sui giovani: creare un gruppo multidisciplinare di giovani biologi, giovani medici, giovani statistici e giovani epidemiologi che si possano incontrare e che  vivano la relazione tra ricerca ad assistenza e che trovino piacere ad arrivare un risultato di ricerca. E poi voglio portare l’Istituto all’esterno, farlo conoscere di più, renderlo più disponibile a condividere con le Marche le sue attività di ricerca. Quello che facciamo va implementato nelle comunità in cui viviamo. E infine: valorizzare le competenze.

Prima la nomina di Bernabei a presidente dell’Inrca che si aggiunge al suo ruolo di presidente di Italia Longeva, poi il suo incarico nazionale, in molti hanno insinuato che questo significhi un progressivo svuotamento dell’attività di ricerca dell’Inrca di Ancona in favore di Roma.

«È esattamente il contrario. C’è la volontà di far crescere sempre di più l’Inrca di Ancona. La mia nomina a coordinatrice nazionale della rete Aging costituita da 11 Ircss è stato un grande riconoscimento per il lavoro fatto dall’Inrca di Ancona, che ricordo è l’unico in Italia specializzato in Geriatria. Io sono una persona orgogliosa di stare all’Inrca, altrimenti non mi sarei candidata di nuovo per il concorso per la direzione scientifica e sarei rimasta a Roma».

Nuovo Inrca-Ospedale di rete all’Aspio, la nuova struttura, i cui lavori stanno subendo continui arresti e ripartenze, sarà comunque adatta ad ospitare anche le attività dell’Istituto di ricerca?

«Questo tema non è stato ancora affrontato con la Regione da parte della quale c’è comunque disponibilità a discutere. Attualmente la nostra attività di ricerca si svolge in via Birarelli ad Ancona e per il momento nel nuovo edificio dell’Aspio non sono previsti spazi per la ricerca».

Un’ultima domanda più personale: cosa l’ha spinta verso l’attività di ricerca nel settore geriatrico?

«Quando mi sono laureata ero decisa a fare l’internista, così mi sono guardata intorno ed è stato chiaro che la popolazione stava invecchiando. Poi ragionando sulla scelta, quello che mi ha più colpito è che rispetto ad altre discipline nelle quali il medico lavora con l’organo in questo campo hai come riferimento la persona. È un lavoro stimolante, puoi occuparti di tante cose diverse, si affronta la complessità e la professione del medico è vissuta come una vera missione».

 

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