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Roberto Mancini nuovo ct:
il ragazzo marchigiano
alla guida della Nazionale

PERSONAGGI - Quel giorno all'Aula Magna di Macerata quando preferì fermarsi con gli studenti che correre a Formello da Cragnotti

 

 

di Maurizio Verdenelli

«Sono orgoglioso, oggi, per i miei genitori che sono felici per questa mia scelta». Ha conquistato la nazionale, finalmente, il ‘ragazzo di Jesi’, la città di Federico II che ha visto crescere – tra i due corre un anno di differenza, più ‘anziano’ è Roberto: 53 anni – ed affermarsi ai massimi livelli il portiere Luca Marchegiani e lo stesso Mancini, ‘il giocatore più bravo della sua generazione’ secondo il compianto Sandro Ciotti. Proprio a Macerata il ‘gemello del gol’ per antonomasia (l’altro, come noto, è stato Luca Vialli) rivelò il cruccio del campione che pur venendo dalla provincia e giocando ‘in provincia’, a Genova, era riuscito a vincere quasi tutto. Dappertutto si era affermato Roberto da Jesi, che il padre Aldo allenava da bambino in modo meticoloso e continuo, meno che in nazionale.

Antonio De Introna, presidente del Cus Macerata

Quel giorno d’inizio millennio, per l’esattezza correva l’anno 2002, nell’aula magna del dipartimento di Giurisprudenza (chiusa da un anno a causa del terremoto) c’era una gran folla di ragazzi ad assistere alla ‘lezione’ del ‘professor’ Mancini. Era un lunedì, il martedì era atteso nella sua Jesi in un istituto superiore. Un incontro che il rettore Alberto Febbrajo e il presidente del Cus, il dirigente nazionale Antonio ‘Totò’ De Introna, avevano concertato pazientemente da tempo: difficile intercettare i momenti liberi del campione anche se non contrattualizzato in quella stagione. Ma, nel caso di Mancini, mai dire mai. Così nel corso del breefing che aveva preceduto l’incontro nell’istoriata Aula Magna che s’affaccia su piazza della Libertà, il ‘mister’ aveva ricevuto una telefonata dalla Lazio. Dopo la ‘sanguinosa’ sconfitta per 0-4 nel derby con la Roma, 24 ore prima, il presidente lo cercava. ‘Vieni subito a Formello’ gli chiedeva Cragnotti. «Sono qui con gli studenti dell’università di Macerata ed assolutamente non mi muovo, non voglio deluderli». ‘Allora domani…’. «Stesso discorso, sono nella mia Jesi con i ragazzi della mia città che mi aspettano da tempo». I due s’accordarono per il mercoledì. E Mancini divenne allenatore della Lazio.

A Macerata, ‘stoppato’ De Introna che nel suo genuino entusiasmo sportivo voleva annunciare l’imminente ‘nomina’ del prestigioso relatore, Mancini con gli onori tributati al grande campione che era stato, dovette sostenere qualche irriverente domanda sul suo passato in azzurro: una nazionale che non l’annoverava tra i massimi protagonisti. Un ossimoro per un giocatore di assoluto talento come lui. «In realtà –rispose con determinazione Mancini- sono stato il calciatore più convocato nel Club Italia. Ho un numero di ‘chiamate’ difficilmente uguagliabile: sin dall’età di 14 quando ho vestito la maglia azzurra per la prima volta, quella della rappresentativa ‘più’ giovanile in assoluto. Ho avuto allenatori in un periodo che è andato addirittura da Bearzot, Vicini e Sacchi». Tuttavia un po’ era vero, anche quando la ‘sua’ Sampdoria grazie a Lui e a Vialli s’imponeva agli squadroni milanesi e alla Juventus, lui sembrava non riuscire a trasformare sul campo laddove la nazionale era impegnata, quell’enorme potenziale tecnico di cui era dotato. Questione d’emotività, probabilmente, per il ‘ragazzo marchigiano’ che teneva tanto alla propria città (a celebrare il proprio matrimonio a Genova aveva voluto assolutamente il sacerdote della sua parrocchia di periferia a Jesi) e al suo Paese. Ecco perchè ‘Roberto da Jesi’ oggi a Coverciano era così felice, dedicando significativamente un passaggio (certo non il più ricco tra i tanti, rinunciando forse ad un ingaggio più favorevole) della sua luminosa carriera di calciatore ed allenatore internazionale ai genitori ed intimamente a se stesso: raggiunto oggi a Coverciano il traguardo cui sentimentalmente ambiva.

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