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Il figlio di Carlo Urbani al Consiglio regionale:
«Troppi morti in mare, è come se mio padre
avesse rifiutato di curare pazienti»

CERIMONIA - Nell'assemblea legislativa il ricordo del "medico del mondo", morto di Sars 20 anni fa. Sabato sarà inaugurato un museo in suo onore a Castelplanio. Tommaso Urbani all'aula: «I suoi messaggi non vanno utilizzati solo per ricordarlo, ma devono servirci a guidarci e spronarci ancora di più»

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Carlo Urbani

di Francesca Pasquali

«Immaginate un medico che si rifiuta di curare un paziente: non soccorrere i migranti in mare è la stessa cosa». Si rivolge alla platea del Consiglio regionale, Tommaso Urbani. Nel ricordare il padre morto di Sars venti anni fa il figlio di Carlo Urbani tocca uno dei temi più delicati di questo periodo. Lo fa con la consapevolezza che il padre, con occhio benevolo e un cenno del capo, l’avrebbe sostenuto. Quel padre che ha potuto conoscere per sedici anni appena, ma la cui storia accompagna lui e i due fratelli ogni giorno.
Si è aperto con il ricordo del «medico del mondo», il Consiglio regionale di oggi. Dopodomani saranno vent’anni da quanto Carlo Urbani è morto, ucciso da quella Sars che per primo aveva identificato. Era in Vietnam, quando l’ha contratta, inviato dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità). Era nato a Castelpanio, dove, dopo la laurea in Medicina e la specializzazione in Malattie infettive, era stato medico condotto. Poi, era entrato in Medici senza frontiere, era diventato presidente della sezione italiana e, nel 1999, aveva ritirato il Premio Nobel per la Pace assegnato all’organizzazione umanitaria.

Urbani

Tommaso Urbani

«Non ha solo dimostrato una grandissima competenza professionale e tecnica, ma soprattutto umana. Non ha mai smesso di essere un medico sempre al fianco dei più deboli. Le battaglie che ha portato avanti, purtroppo, sono più attuali che mai. I suoi messaggi non vanno utilizzati solo per ricordarlo, ma devono servirci a guidarci e spronarci ancora di più» ha detto Tommaso Urbani, che è presidente dell’Aicu, l’associazione che porta il nome del padre. «Oggi – ha proseguito –, avere acceso alle cure, spesso, è considerato un privilegio, anche in Italia. Ma senza un sistema sanitario pubblico e una medicina forte e radicata nel territorio non si possono contrastare le epidemie e nessun’altra problematica sanitaria. Se si vuole davvero onorare la memoria di mio padre, le istituzioni hanno il dovere di garantire un accesso alla salute equo per tutti». Ha parlato anche dell’immigrazione e dei «troppi morti in mare», il figlio del medico deceduto a 46 anni. «Onorare la figura di mio padre e portarne avanti il messaggio, che non può avere un colore politico in quanto attiene ai diritti umani – ha spiegato –, vuol dire battersi perché il soccorso in mare venga assicurato e ogni vita venga salvata».

Badiali

Fabio Badiali

Sabato prossimo, a Castelplanio sarà inaugurato il museo dedicato al medico. All’interno, ci saranno gli oggetti che Urbani usava nella quotidianità, i riconoscimenti che ha ricevuto nella sua breve e brillante carriera e le lettere che scriveva e riceveva quando era lontano da casa. «Ci saranno schermi per le proiezioni, luci e una voce narrante, come se fosse proprio Carlo Urbani a guidare i visitatori», ha spiegato il sindaco di Castelplanio, Fabio Badiali. Che ha sposato la causa dell’associazione in memoria del medico, per «far camminare le sue idee con le nostre gambe». «Siamo riusciti a portare soldi in tante parti del mondo, ma soprattutto la cultura dell’aiutare gli ultimi, del parlare per chi non ha voce in capitolo», ha detto Badiali. Per il quale, con il Covid, il “Protocollo Urbani” è stato applicato «con un po’ di ritardo» perché «si è prima pensato all’economia, poi alla salute». Mentre, se fosse stato applicato subito, «si sarebbero evitati milioni di morti». Il protocollo in questione riguarda le chiusure delle frontiere, che Urbani era riuscito a ottenere nel 2003, evitando che la Sars diventasse una pandemia. Badiali ha, poi, chiesto alla Regione i 30mila euro previsti dalla risoluzione dello marzo 2022 per le celebrazioni del ventennale della morte di Carlo Urbani.

Latini

Dino Latini

«Era un convinto sostenitore della vaccinazione e dei vaccini come strumenti fondamentali per la prevenzione delle epidemie. La recente esperienza del Covid 19 ha dimostrato a tutti noi come avesse ragione e come i vaccini siamo stati lo strumento principale per poter superare questo momento», le parole del presidente del Consiglio regionale, Dino Latini. «Era convinto – ha aggiunto – che tutti dovessero avere la stessa possibilità di accesso ai farmaci e per questo obiettivo ha lottato per tutta la sua esistenza. Ad oggi, ancora tante persone nel mondo non hanno questa possibilità. Il nostro dovere è fare tutto il possibile per garantire questo diritto inalienabile dell’uomo».
Un medico, dunque, ma prima di tutto un uomo «capace di curare anche solo con le parole», ha detto Massimo Clementi. «Non era solo un bravissimo medico, ma anche un uomo sensibile e generoso, molto curioso dei fenomeni del mondo, specie quelli più lontani. Una persona non solo ricca di valori, ma anche molto capace di coinvolgere, tecnicamente impeccabile, autorevole, modesto e gentile», l’ha ricordato il professore emerito di Microbiologia e Virologia dell’Università San Raffaele di Milano.

Clementi

Massimo Clementi

Fulvio Borromei, Urbani l’aveva conosciuto negli anni ’80 all’ospedale di Macerata. «Fin da ragazzo – ha raccontato il presidente dell’Ordine dei Medici di Ancona – ha sempre avuto a cuore le sorti del poveri del terzo mondo. Un filo rosso che l’ha portato verso il bene per gli altri, fino all’estremo sacrificio». Toccante anche il ricordo di Maria Rita Mazzoccanti, direttrice dell’Unità operativa complessa Cure Anziani Hospice di Macerata. Quando ha incontrato per la prima volta Urbani era una studentessa. «Lavorava alla Clinica di malattie infettive – ha raccontato – e organizzava esercitazioni pratiche per gli studenti. La prima esperienza di paziente visitato ho avuto il privilegio di farla con lui. Probabilmente, la scelta di studiare malattie infettive è legata a quel primo grande maestro». Le loro vite si sono incrociate di nuovo alla fine degli anni ’80. Stavolta, lo “studente” era Urbani. Che, dopo l’esperienza da medico di famiglia, voleva lavorare all’ospedale di Macerata. «Era tornato in clinica ad Ancona per acquisire nuove metodiche. Io, specializzanda, ero diventata la “maestra”. Eravamo in piena epidemia Aids. In un momento di pausa, mi ha raccontato di un viaggio in Africa con il figlio Tommaso. Mi ha detto che avevano dormito all’aperto e mi ha descritto l’emozione incredibile di vedere il cielo stellato». La cerimonia si è conclusa con le parole di Urbani, lette del presidente della Regione, Francesco Acquaroli: «”Sono cresciuto inseguendo il miraggio di incarnare i sogni. Ho fatto dei miei sogni la mia vita e il mio lavoro”».

Borromei

Fulvio Borromei

Mazzoccanti

Maria Rita Mazzoccanti

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